Libia: la nuova missione europea Irini è diventata operativa il 4 maggio. Intanto piovono bombe sull’ambasciata italiana a Tripoli
Forse è eccessivo parlare di un’azione deliberata contro Italia e Turchia per l’attacco di giovedì sera delle truppe del generale Haftar che ha colpito l’area intorno alla residenza dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino, causando almeno 5 morti. I due razzi si sono abbattuti nella zona di Zawiyat al-Dahmani, ove si trovano le sedi della radio, del Ministero degli Esteri, l’Alta Corte di Giustizia, l’Hôtel Al Mahary, l’ambasciata della Turchia e appunto la residenza dell’ambasciatore d’Italia. Un quartiere occupato quindi da stranieri (non solo italiani e turchi) ma l’azione era volta a intimorire pesantemente quei Paesi che appoggiano il Governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj.
Un atto di forza, condannato da tutti in Europa, che viola gli accordi di Berlino e la tregua per il Ramadan ma si rivela di fatto un sintomo delle profonde paure del generale Haftar che, pur con i suoi roboanti proclami, sta perdendo sempre più terreno sul piano militare nonostante gli ingenti aiuti militari per via terra che continuano ad arrivare dagli Emirati. Sono in molti a ipotizzare che Haftar, se nelle prossime settimane dovesse perdere il controllo della base di al Wattia e non riuscisse a far capitolare Tarhuna, potrebbe solo ripiegare verso Jiufra e perdere quindi definitivamente il controllo sulla Tripolitania.
È in questo scenario che dal 4 maggio è diventata operativa la nuova missione militare europea Irini che ha sostituito Sophia e ha il compito principale di contrastare le violazioni all’embargo di armi alle due parti in guerra. Serraj ha lamentato anche di recente che la missione favorisce Haftar perché la missione è essenzialmente navale e penalizza solo gli arrivi di armi e truppe dalla Turchia mentre i rifornimenti ad Haftar provengono via terra o aerea dagli Emirati e dall’Egitto. Ai militari europei della missione Irini non resterà che monitorare via radar o con mezzi aerei l’invio di armi ad Haftar. A quel punto può solo utilizzare il meccanismo del “naming and shaming”, indicare cioè il Paese che ha violato l’embargo oppure rivolgersi al Comitato sanzioni dell’Onu con il rischio di incappare nel veto russo o cinese.
Ma c’è un rischio ancora maggiore. Che Irini, invece di diffondere la “pace” (come è insito nel suo nome) rischia di creare problemi ancora maggiori. Basti pensare che il Force Commander dell’operazione, ossia il comandante in mare di Irini, tra sei mesi sarà un ufficiale greco. Non ci vuole molta immaginazione per capire cosa potrebbe succedere se una nave comandata da un ufficiale greco bloccasse una nave turca diretta al porto di Tripoli con un carico non ben definito.
Invece di portare la pace in Libia, Irini porterebbe la guerra in Europa con effetto boomerang. Senza contare i conflitti tra Turchia, Grecia e Cipro per letrivellazioni illegali. Sarà un caso ma a pochi giorni dal suo avvio la missione perde subito un pezzo. Malta si è ritirata dalla missione e ha posto il veto sulle procedure di spesa per gli sbarchi di migranti in seno al Comitato speciale che gestisce il meccanismo Athena per il finanziamento dei costi comuni delle operazioni militari dell’Ue. Insomma un bel pasticcio. Il tutto complicato dall’emergenza sanitaria per il coronavirus con regole sempre più stringenti a bordo delle unità navali impiegate dalle Marine europee nel Mediterraneo.
Forse è eccessivo parlare di un’azione deliberata contro Italia e Turchia per l’attacco di giovedì sera delle truppe del generale Haftar che ha colpito l’area intorno alla residenza dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino, causando almeno 5 morti. I due razzi si sono abbattuti nella zona di Zawiyat al-Dahmani, ove si trovano le sedi della radio, del Ministero degli Esteri, l’Alta Corte di Giustizia, l’Hôtel Al Mahary, l’ambasciata della Turchia e appunto la residenza dell’ambasciatore d’Italia. Un quartiere occupato quindi da stranieri (non solo italiani e turchi) ma l’azione era volta a intimorire pesantemente quei Paesi che appoggiano il Governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj.
Un atto di forza, condannato da tutti in Europa, che viola gli accordi di Berlino e la tregua per il Ramadan ma si rivela di fatto un sintomo delle profonde paure del generale Haftar che, pur con i suoi roboanti proclami, sta perdendo sempre più terreno sul piano militare nonostante gli ingenti aiuti militari per via terra che continuano ad arrivare dagli Emirati. Sono in molti a ipotizzare che Haftar, se nelle prossime settimane dovesse perdere il controllo della base di al Wattia e non riuscisse a far capitolare Tarhuna, potrebbe solo ripiegare verso Jiufra e perdere quindi definitivamente il controllo sulla Tripolitania.
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