Libia: liberato Bija, il noto trafficante di migranti
La Libia scarcera Bija, capo della Guardia costiera di Zawiya, a ovest di Tripoli: secondo l'Onu, era coinvolto nel traffico di esseri umani e nel contrabbando di petrolio
La Libia scarcera Bija, capo della Guardia costiera di Zawiya, a ovest di Tripoli: secondo l’Onu, era coinvolto nel traffico di esseri umani e nel contrabbando di petrolio
Come tutti i luoghi di conflitto civile nel Mediterraneo (con l’aggravante del petrolio), anche la Libia è terreno di scontro non solo interno, ma tra potenze regionali e non che mirano a espandere la propria influenza o fare affari. In questi anni, in Libia, la competizione è anche stata intra-europea. Questa competizione, così come la centralità del Paese per ragioni legate ai flussi migratori verso l’Europa, il pericolo che in una situazione confusa si radichi nel Paese la presenza di gruppi terroristici, gli interessi economici rendono la necessità di stabilizzare la un obiettivo cruciale per l’Europa e per l’Italia.
Non è un caso che la prima visita all’estero di Mario Draghi sia stata al Primo Ministro Dabaiba, appena posto alla guida del Governo di unità nazionale. Ma come tutti sanno, la mediazione Onu è anche e soprattutto il frutto di uno stallo nella situazione militare e gli equilibri libici rimangono instabili.
La liberazione di Bija
Tutta questa premessa non è un tentativo di analisi di una situazione complessa ma semplicemente il quadro nel quale si inserisce la liberazione di Abdel-Rahman Al-Milad, noto come “Bija” e soprattutto per essere il capo della Guardia costiera della città costiera di Zawiya, una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli. Al Bija era detenuto da ottobre scorso su richiesta del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che lo accusa di essere coinvolto nel traffico di esseri umani, nel traffico di migranti e nel contrabbando di carburante. A lui e alla Guardia costiera da lui comandata dobbiamo, hanno raccontato diversi testimoni, affondamenti di barconi carichi di migranti, sequestro di altri e loro trasferimento nel campo di prigionia diretto dal cugino, famoso per essere uno di quelli dove i migranti trattenuti hanno subito le violenze peggiori.
Bija è noto in Italia per le inchieste del giornalista di AvvenireNello Scavo, che rivelò la sua presenza in una missione libica nel nostro Paese e per un’intervista a Francesca Mannocchi in cui conferma (e minaccia i giornalisti). Gli accordi di cooperazione voluti dall’allora ministro Minniti sul respingimento dei migranti tra Libia e Italia, insomma, prevedevano un ruolo centrale per figure come Al-Milad, di cui al tempo già si conoscevano le “gesta”.
Al-Milad era stato arrestato sei mesi dopo che il procuratore militare di Tripoli aveva emanato un ordine di arresto e, particolare più importante, aveva guidato i suoi uomini, al fianco delle milizie al Nasr guidate da Mohammed Kachlaf – anche lui oggetto di una sanzione Onu. L’arresto, apparso come concordato, è apparso più un passaggio che non la fine di un percorso. In Libia, come ad esempio in Afghanistan o in Iraq, figure ambigue, capi milizie, signori della guerra svolgono parallelamente i propri traffici e un ruolo di garanzia e stabilizzazione. L’aver combattuto contro il generale Haftar per fermare la sua avanzata verso Tripoli e l’aver conquistato nei mesi della caduta di Gheddafi un ruolo importante nella città con un porto petrolifero, sono gli elementi che hanno garantito ad Al-Milad una rapida uscita dal carcere e persino la promozione al grado di maggiore. La rete di alleanze locali e non, come la centralità del ruolo svolto sono dunque una garanzia.
L’impegno dell’Italia
E qui torniamo alla situazione generale. La costituzione di un Governo di unità nazionale, il nuovo protagonismo europeo volto a contenere quello turco (e russo, ma la Turchia sostiene i “nostri” alleati contro quelli russi), le visite e gli impegni di cooperazione italiani si svolgono in un contesto nel quale ogni ras locale pesa e partecipa a modo suo a questo equilibrio precario. È possibile chiudere entrambi gli occhi sul passato per istituzionalizzare questi attori facendoli rinunciare ai traffici peggiori e pretendendo il rispetto dei diritti umani delle persone che attraversano la Libia per arrivare in Europa?
Negli anni passati l’Italia non ha chiesto nulla in cambio delle centinaia di milioni spesi per sostenere la Guardia costiera libica, se non una diminuzione degli sbarchi sulle nostre coste. Qualsiasi fosse il prezzo in termini umanitari. Pensare di stabilizzare la Libia lasciando carta bianca a figure così non è una buona idea. E la verità è che per l’Italia e l’Europa è più importante una Libia stabile e pacificata che non l’obiettivo tutto legato alla politica interna e al consenso dello stop ai barconi. Per questo la liberazione di Bija non è una buona notizia.
La Libia scarcera Bija, capo della Guardia costiera di Zawiya, a ovest di Tripoli: secondo l’Onu, era coinvolto nel traffico di esseri umani e nel contrabbando di petrolio
Come tutti i luoghi di conflitto civile nel Mediterraneo (con l’aggravante del petrolio), anche la Libia è terreno di scontro non solo interno, ma tra potenze regionali e non che mirano a espandere la propria influenza o fare affari. In questi anni, in Libia, la competizione è anche stata intra-europea. Questa competizione, così come la centralità del Paese per ragioni legate ai flussi migratori verso l’Europa, il pericolo che in una situazione confusa si radichi nel Paese la presenza di gruppi terroristici, gli interessi economici rendono la necessità di stabilizzare la un obiettivo cruciale per l’Europa e per l’Italia.
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