Piena di risorse, astuta, empatica, pragmatica e resistente. Sa raccogliere consensi ed è stata capace di inventarsi un vero elettorato. Come spalla al ballottaggio è senza dubbio una garanzia
Sconfitta? Non esageriamo. Marine Le Pen è stata battuta al ballottaggio delle ultime presidenziali francesi: ha preso “solo” il 41,5% dei voti, contro il 58,5% per Emmanuel Macron. Ma se si guarda al percorso della zarina dell’estrema destra, da dove lei viene (figlia dell’orco Jean-Marie), si può dire che la sua parabola sia stata un successo. Esce da questo scacco come leader di un “blocco popolare”, che Macron nei prossimi cinque anni non potrà ignorare, a patto di subire ancora proteste in stile gilet gialli.
Sdoganamento riuscito
“È l’ottava volta che la sconfitta colpisce il cognome Le Pen. Noi nazionalisti siamo destinati sempre a perdere?” Così ha commentato acidamente il risultato, la sera del 24 aprile, Éric Zemmour, il leader della destra sovranista, rivale di Marine (ma al primo turno lui si era fermato al 7%, lei al 23,15%). Vero, ma il classico appello al “fronte repubblicano”, il “tutti contro i Le Pen” in nome della democrazia, questa volta ha funzionato solo in parte (limitato soprattutto alle generazioni più vecchie). Diciamolo, funziona sempre meno e grazie alla “dédiabolisation” portata avanti dalla Le Pen da almeno una decina d’anni, uno sdoganamento dalle posizioni di estrema destra, a tratti ambiguo ma in ogni caso efficace. Quando, nel 2002, Jean-Marie Le Pen finì a sorpresa al ballottaggio con Jacques Chirac, ottenne solo il 17,8%. Nel 2012 fu la prima volta in cui si candidò Marine: si fermò al primo turno con il 17,9%. Poi nel 2017 finì la prima volta al ballottaggio e strappò il 33,9% dei consensi. Fino ad arrivare all’ultimo 41,5%.
E oggi lei figura sempre nei sondaggi tra le personalità politiche preferite dai francesi (nell’ultimo dell’istituto Eliabe, è seconda solo a Edouard Philippe, l’ex primo ministro). Altro dato interessante: nel 2002 contro la possibilità che vincesse Jean-Marie Le Pen e “in nome dei valori democratici”, scesero in piazza un milione e 300mila francesi. Stavolta, nel 2022, contro di lei e per le stesse ragioni, subito prima del secondo turno, si sono materializzate appena 23mila persone. “Finora le élite francesi, sia di destra che di sinistra, hanno inveito contro di lei ricorrendo ai riferimenti al fascismo, che non c’entra nulla – osserva Hubert Védrine, che fu uno dei più stretti collaboratori di François Mitterrand e ministro degli Esteri con il premier socialista Lionel Jospin -. È troppo facile, ormai non basta più. Bisogna rispondere nel concreto alla Le Pen e alle esigenze dell’elettorato popolare con le politiche sul carovita e la gestione dei flussi migratori”.
Riadattarsi sempre
Una delle chiavi del successo di Marine è la capacità camaleontica di cambiare e raddrizzare il tiro, anche politicamente. Nel 2017 la sua volontà esplicita di uscire dall’Unione europea e dall’euro aveva fatto paura a una grossa parte degli elettori. E così nel 2022 la Le Pen si è rimangiata la parola, volendo restare nelle istituzioni europee. Quanto all’età pensionabile, attualmente in Francia 62 anni, nel 2017 prometteva di abbassarla ai sessanta per tutti: un’operazione costosissima per le casse pubbliche e per la tenuta del sistema pensionistico sul lungo periodo.
Ma nel 2022, come per tanti altri punti del suo programma, è ritornata anche su quell’obiettivo, mantenendolo solo per chi ha iniziato a lavorare tra i 17 e i vent’anni. Per gli altri chiede una pensione a 62 anni, con 42 pieni di contributi versati (quindi, ancora più tardi per tanti lavoratori). Sono, comunque, condizioni migliori di quelle promesse da Macron, che vuole portare l’età pensionabile a 65 anni. Insomma, Le Pen rivede nel tempo il suo programma, pure con bel po’ d’incongruenze (nell’ultima campagna continuava a dire che avrebbe organizzato un referendum dove avrebbe chiesto ai francesi di approvare la supremazia del diritto nazionale su quello europeo: ma come conciliare tale progetto con l’obiettivo di restare nell’Ue?). Ambigua spesso Marine, anche per l’immigrazione, dove propone talvolta più durezza di quella richiesta un tempo dal padre. Alla sua base di pragmatismo si aggiunge sempre una buona dose di vaghezza, senza contare le imprecisioni e un’incapacità tecnica, limitata rispetto al passato, ma che è emersa di nuovo nel dibattito televisivo con Macron, prima del ballottaggio. È una candidata imperfetta ma dalla popolarità debordante.
Un nuovo blocco elettorale
A partire dal 2007, la Le Pen andò a insediarsi a Hénin-Beaumont, sconosciuta cittadina del Nord in crisi e deindustrializzata. Ci viveva proprio, alcuni giorni alla settimana. Di lì a qualche anno il Front National (oggi ribattezzato Rassemblement National) riuscì a conquistare l’amministrazione cittadina. Hénin-Beaumont è diventato per Marine il trampolino di lancio per conquistare l’elettorato popolare del Nord, una novità per il suo partito (che era e resta particolarmente forte nel Sud-Est, ma grazie a elettori vecchi, pensionati e agiati). Pure ideologicamente Marine ha spostato la sua formazione politica dal liberalismo economico del padre verso una sorta di destra sociale, fino a un’anti-globalizzazione quasi “sinistrorsa”, che va incontro alle esigenze di un ceto medio declassato, caratteristica non solo della Francia ma di tutto il mondo occidentale. “L’elettorato lepenista è ormai portatore di una vera identità sociale.
Si può parlare di un voto di classe, esattamente come quello per Macron, da parte dei ceti più agiati e urbani”, sottolinea Jérôme Sainte-Marie, il primo politologo ad aver parlato di un “blocco popolare”, che si è formato intorno alla Le Pen, contro un “blocco delle élites”, che fa riferimento a Macron: il tutto, a scapito dei partiti tradizionali, sia a destra che a sinistra, in profonda crisi. Il popolo di Marine è costituito ormai a livello nazionale e soprattutto nella Francia delle province dalle giovani generazioni proletarizzate (tanti precari), dagli operai e salariati mal pagati, dalle madri single. E sono soprattutto i lavoratori modesti del settore privato a seguirla, persone che un tempo votavano socialista o comunista (la Le Pen resta meno forte tra i dipendenti dell’impiego pubblico, dove il voto di protesta va piuttosto a Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale).
Intanto l’arrivo sulla scena politica di Zemmour, già polemista e giornalista televisivo di successo, che si è fermato al 7% di consensi al primo turno delle presidenziali, ha permesso all’Rn di liberarsi degli elementi più a destra e “fascistizzanti”, che sono saliti sul carro del nuovo leader sovranista. Adesso Le Pen vuole far fruttare il risultato delle presidenziali alle legislative che si terranno in giugno. All’ultimo ballottaggio Marine è arrivata in testa in 158 collegi elettorali (contro 45 nel 2017), sui 577 totali del Paese, uno per ogni deputato eletto. Secondo le proiezioni di Harris Interactive, calcolate su quei risultati, tenendo conto del sistema elettorale (maggioritario a due turni, il 12 e il 19 giugno), il Rassemblement National potrebbe ottenere fra i 75 e i 105 deputati contro gli otto attuali. Sarebbe sempre una minoranza, ma rappresenterebbe un gruppo capace di fare opposizione.
La famiglia, i pro e i contro
La sua famiglia è un grande vantaggio e una grande debolezza (come sempre…). Come il padre, anche per lei la politica entra nella famiglia e viceversa. Dal 2017 fino alle ultime elezioni, come stratega (che l’ha voluta, appunto, rassicurante, più femminile e “madre della patria”) l’ha accompagnata Philippe Olivier, che è anche suo cognato, marito della sorella maggiore Marie-Caroline. Questa è rimasta accanto a Marine per tutta la campagna nei suoi viaggi per la Francia, occupandosi della logistica e stando attenta che mangiasse e si vestisse bene. Sempre vicino a lei pure Jordan Bardella, che, ad appena 26 anni, è il presidente di Rn, il suo partito. Bello e alto, popolare tra i giovani (che vogliono fare un selfie con lui), ha la risposta sempre pronta nei dibattiti e un linguaggio forbito. Fra l’altro, può anche vantare origini popolari, perché è il figlio di un’immigrata piemontese, che si ritrovò madre single in una delle più povere periferie di Parigi, dove Jordan è cresciuto. Lui è il compagno di Nolwenn Olivier, che altri non è se non la figlia dello stratega e di Marie-Caroline.
Marine ha un approccio clanico, circondata da familiari e consiglieri-amici, con i quali può pure litigare e diventare vendicativa. Poi la famiglia porta anche problemi, innanzitutto nella figura del padre, che, a 93 anni, un giorno la critica aspramente e l’altro la incoraggia (lei dovette escluderlo dal partito nel 2015, perché diventato ingestibile e per dare credibilità alla sua dédiabolisation). Poi c’è la nipote Marion Maréchal (ha rinunciato al cognome Le Pen), 32 anni, figlia dell’altra sorella di Marine, Yann. Marion, già giovane personaggio in vista del Front National che fu, aveva preso le distanze dalla zia nel 2017. E, negli ultimi mesi, nel rush finale della campagna elettorale, ha raggiunto Zemmour. Un tradimento preso malissimo da Marine, che, quando lei era piccola, fece a Marion da seconda madre, aiutando la sorella, che l’aveva avuta dopo un’avventura con un uomo, a lungo rimasto sconosciuto, e che si era ritrovata da sola con quella neonata a cui badare.
Empatia e verità
Pur essendo nata in una famiglia agiata (il padre Jean-Marie proveniva comunque da una famiglia modesta e si arricchì grazie alla strana eredità lasciata da un amico imprenditore, contestata per anni dalla famiglia di questo), Marine ha un’empatia istintiva con gli umili. Di sicuro più a suo agio nel mercato di un paesino che a discutere di economia con Macron, ha sfruttato sempre più tale capacità per costruire la propria fortuna politica, in questi tempi di populismo. Nell’ultima campagna elettorale ha perfino iniziato a parlare della sua vita privata. Ha mostrato la sua casa in trasmissioni televisive (una villetta a schiera nella periferia di Parigi, non lussuosa), parla sui social della sua passione per i gatti (ha anche ottenuto il diploma di allevatrice di felini) e ammette che, dopo avere avuto tre figli da due mariti diversi e altre storie fisse con uomini, oggi è single, ma condivide la sua casa con un’amica d’infanzia, Ingrid, personaggio un po’ misterioso, che l’accompagna spesso e la sostiene anche nella vita politica.
A un meeting a Reims, parlò chiaramente delle difficoltà di essere nata figlia di Jean-Marie Le Pen, a partire di quel giorno del 1976 in cui il loro appartamento saltò in aria a causa di una bomba (mai si è saputo chi abbia organizzato l’attentato) e lei, che aveva appena otto anni, si salvò per miracolo. Così sintetizzò la sua vita in quel comizio: “Ho imparato tanto – disse −, ho brancolato nel buio, qualche volta ho fallito e sono caduta. Ma mi sono sempre rialzata”. Gioca la carta della vittima e non solo quella della donna forte, diversa da Macron, che ha avuto una vita senza problemi, figlio di una famiglia borghese e assistito tutta la vita da una moglie-madre. Due destini diversi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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“È l’ottava volta che la sconfitta colpisce il cognome Le Pen. Noi nazionalisti siamo destinati sempre a perdere?” Così ha commentato acidamente il risultato, la sera del 24 aprile, Éric Zemmour, il leader della destra sovranista, rivale di Marine (ma al primo turno lui si era fermato al 7%, lei al 23,15%). Vero, ma il classico appello al “fronte repubblicano”, il “tutti contro i Le Pen” in nome della democrazia, questa volta ha funzionato solo in parte (limitato soprattutto alle generazioni più vecchie). Diciamolo, funziona sempre meno e grazie alla “dédiabolisation” portata avanti dalla Le Pen da almeno una decina d’anni, uno sdoganamento dalle posizioni di estrema destra, a tratti ambiguo ma in ogni caso efficace. Quando, nel 2002, Jean-Marie Le Pen finì a sorpresa al ballottaggio con Jacques Chirac, ottenne solo il 17,8%. Nel 2012 fu la prima volta in cui si candidò Marine: si fermò al primo turno con il 17,9%. Poi nel 2017 finì la prima volta al ballottaggio e strappò il 33,9% dei consensi. Fino ad arrivare all’ultimo 41,5%.