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Mercenari e golpisti tra Usa e Caraibi: il caso Moïse


Le indagini sull'uccisione del Presidente di Haiti si snodano oggi tra Porto Principe, Bogotá e Miami. Uno dei casi internazionali più complessi degli ultimi anni nei Caraibi

A poche ore dal ritrovamento del cadavere del Presidente haitiano Jovenel Moïse nella sua residenza di Porto Principe, sembrava a tutti naturale che i sospetti ricadessero sulle più di 150 gang attive nel Paese, legate a doppio filo a partiti, sindacati, polizia e aziende locali. Da mesi Moïse affrontava contestazioni molto serie, aveva denunciato tentativi di colpi di Stato e avvertito sulla possibilità di un attentato. La conferma dell’arresto di 18 mercenari colombiani accusati dell’omicidio però ha sorpreso tutto il continente. Gli attori coinvolti sono apparsi improvvisamente sotto i riflettori: mercenari, informatori, golpisti, lobbisti, che devono la loro fortuna e potere proprio all’anonimato in cui si muovono insospettati.

Le indagini

Il primo grattacapo per gli inquirenti si è aperto con l’identificazione dei 26 mercenari colombiani incaricati dell’attacco alla casa presidenziale, tutti legati alle forze armate colombiane, e sei di essi in attività. Vero è che l’industria dei mercenari colombiani è conosciuta ormai da tempo. Col 3,2% del Pil annuo speso per la difesa (il tasso più alto dell’America Latina) e l’iniezione permanente di fondi e mezzi da parte di Washington nell’ormai vana “guerra contro i narcos”, la Colombia è diventata un vero e proprio provider internazionale di combattenti.

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