Il Messico vota questa domenica, l’appuntamento elettorale più atteso del 2024 in America Latina. Comizi storici, purtroppo, anche per il livello di violenza: con 34 candidati assassinati sono già le elezioni più violente della storia messicana.
Il Messico si prepara a celebrare questa domenica un’elezione storica. Da un lato perché si tratta delle più grandi elezioni di sempre. Oltre al presidente della repubblica, verranno eletti altri 20.708 incarichi, includendo 500 deputati e 128 senatori; alle urne sono chiamati a votare più di 98 milioni di messicani.
Sarà storica perché, salvo un miracolo, a governare a partire dal 1º dicembre di quest’anno sarà per la prima volta una donna: le due candidate con maggior intenzione di voto secondo tutti i sondaggi sono Claudia Sheinbaum, del governante Movimiento de Regeneración Nacional (Morena), di sinistra, e Xóchitl Gálvez della coalizione oppositrice Fuerza y Corazón por México. Sheinbaum, fino a poco tempo fa sindaca della capitale, Città del Messico, si incammina verso una vittoria ormai sicura: quasi tutti i sondaggi la collocano ben oltre il 50% delle preferenze, contro il 30% della principale esponente dell’opposizione. Al terzo posto si trova Jorge Álvarez Máynez, del Movimiento Ciudadano, con circa l’8-10% dei voti secondo gli ultimi sondaggi.
Le elezioni di domenica però saranno storiche anche per il grado di violenza che circonda la campagna elettorale. Secondo gli ultimi dati pubblicati, dal 4 giugno del 2023 sono stati commessi 82 omicidi per motivi politici in tutto il paese, 34 dei quali direttamente contro candidati. Tra le vittime anche assessori, famigliari e amici di candidati a posti elettivi. I casi registrati di minaccia di morte e attentati contro la sicurezza di candidati e persone ad essi affini sono 272, il numero più alto da quando si registra questo tipo di fenomeni.
C’è da sottolineare che lo stato messicano non mantiene un registro pubblico, e che il monitoraggio della violenza politica durante il periodo elettorale viene generalmente eseguito da Ong, associazioni e fondazioni dedicate alla lotta contro il crimine organizzato. Tra le mappature più accreditate si trova quella de El Colegio de México (Colmex), università pubblica messicana dal prestigio internazionale, che nel 2021, in occasione delle elezioni amministrative per il rinnovo di parte del parlamento dei governi di alcuni dei 32 stati messicani, rilevò ben 32 omicidi commessi per ragioni politiche in tutto il paese, numero che, fino a maggio di quest’anno, era tristemente considerato il record storico della violenza elettorale in Messico.
Un dramma che va comunque molto al di là del periodo elettorale. Dall’arrivo al potere di Lopez Obrador ad oggi, sono stati registrati 167.000 omicidi e 43.000 sparizioni. Si tratta del periodo presidenziale più violento della storia recente del Messico: Enrique Peña Nieto (2012-2018) chiuse il suo mandato con 150.000 casi, Felipe Calderón (2006-2012) con 122.000 seguito, per numero di omicidi da Ernesto Zedillo (1995-2000) con 80.000 casi.
Il 27,4% delle famiglie messicane piange almeno una vittima della violenza criminale tra i propri membri. Il Messico è altresì il paese più pericoloso del mondo per l’esercizio del giornalismo: dal 2000 ad oggi sono stati assassinati 164 giornalisti. ll costo della violenza in Messico è anch’esso fuori controllo: si stima che l’impatto economico dell’attività criminale corrisponda a 245 miliardi di dollari l’anno, l’equivalente al 19,8% del PIL messicano.
Secondo gli esperti, il fenomeno ha vissuto due grandi momenti di configurazione nella storia recente. Il primo risale all’anno 2000, quando arrivò al potere il presidente conservatore Vicente Fox, del Partito di Azione Nazionale (PAN), mettendo fine a quasi 60 anni ininterrotti di governo del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). Il cambiamento riordinò la distribuzione dei poteri in Messico, obbligando anche le bande criminali a rivedere la propria strategia, e a tessere nuovi legami con la politica e le istituzioni.
Il potere del PAN si protrasse fino al 2012. Durante questo periodo sia Fox, sia il suo successore, Felipe Calderon, inaugurarono la cosiddetta “Guerra contro la droga”, un imponente programma di azione militare interna per annientare il potere dei cartelli messicani. Nel 2008 il programma ricevette anche un forte sostegno da parte degli Stati Uniti attraverso l’Iniziativa Mérida, un programma di cooperazione militare istituito sulla falsa riga del tristemente celebre “Plan Colombia”, e attraverso il quale Washington ha inviato mezzi e assistenza militare in Messico per quasi 3 miliardi di dollari.
I risultati sono stati a dir poco deludenti: si stima che tra il 2006 e il 2021 sono state assassinate 350.000 persone nel contesto della guerra contro la droga in tutto il paese, e i cartelli messicani non hanno fatto altro che crescere. Quando il presidente George W. Bush e Felipe Calderón concordarono l’avvio dell’Iniziativa Mérida, in Messico esistevano quattro organizzazioni criminali radicate a livello nazionale: il cartello di Sinaloa, il cartello di Juárez, il cartello di Tijuana e il cartello del Golfo. Oggi sono 28 i cartelli con potere a livello nazionale ed internazionale, e più di 100 gruppi su tutto il territorio messicano con un radicato potere locale.
La Guerra di Vicente Fox e Felipe Calderón ha spinto queste organizzazioni a moltiplicare il proprio potere di fuoco, e con gli anni si sono verificate scissioni e divisioni che hanno portato alla configurazione attuale. Il potere della criminalità organizzata ha trasceso l’ambito della droga, e le gang si sono impossessate anche della gestione di servizi: riscuotono le tasse in alcuni municipi, gestiscono la rete di gas, acqua, elettricità, controllano il mercato degli alcolici, e in alcuni casi sono padroni di cliniche private e centri di salute.
Un ventaglio di attività che richiedono il beneplacito delle istituzioni locali per poter sussistere, e che le organizzazioni ottengono spesso con la violenza. Proprio per questo la grande maggioranza delle vittime della violenza scatenata durante la campagna elettorale sono candidati a dirigere enti locali, dove il potere territoriale dei narcos si scontra direttamente con la gestione statale sul territorio.
Il presidente Andrés López Obrador è giunto al potere alla fine del 2018 con la promessa di “sostituire il piombo con gli abbracci”, e portare avanti una politica di sicurezza cittadina il cui fulcro sarebbe stato il rispetto dei diritti umani e il miglioramento delle condizioni di vita dei giovani nei territori più colpiti dall’attività dei narcos.
Alcuni risultati sono positivi: il 70% della popolazione messicana riceve oggi una qualche forma di assistenza statale secondo dati del 2023, e il miglioramento dei principali indicatori sociali è evidente. Eppure, la militarizzazione della gestione territoriale non è stata ridotta ma anzi ampliata ad altri aspetti, come la gestione dei flussi migratori, la gestione aeroportuale, la costruzione di infrastrutture, tutte funzioni che hanno comportato un significativo aumento del peso dell’esercito nelle funzioni civili dello stato, e soprattutto un incremento del budget a disposizione di un’istituzione sempre sospettata di delitti contro l’umanità.
Si aggiunga a ciò che in media l’89% degli omicidi in Messico rimane impunito e solo il 4% degli accusati arriva ad un processo. Insomma, le sfide per la gestione che si apre a partire da dicembre sono numerosissime, a partire proprio dalla sicurezza pubblica, e la connivenza della politica col crimine organizzato, ad oggi uno degli elementi che purtroppo contraddistinguono la politica messicana nel mondo.
Il Messico si prepara a celebrare questa domenica un’elezione storica. Da un lato perché si tratta delle più grandi elezioni di sempre. Oltre al presidente della repubblica, verranno eletti altri 20.708 incarichi, includendo 500 deputati e 128 senatori; alle urne sono chiamati a votare più di 98 milioni di messicani.
Sarà storica perché, salvo un miracolo, a governare a partire dal 1º dicembre di quest’anno sarà per la prima volta una donna: le due candidate con maggior intenzione di voto secondo tutti i sondaggi sono Claudia Sheinbaum, del governante Movimiento de Regeneración Nacional (Morena), di sinistra, e Xóchitl Gálvez della coalizione oppositrice Fuerza y Corazón por México. Sheinbaum, fino a poco tempo fa sindaca della capitale, Città del Messico, si incammina verso una vittoria ormai sicura: quasi tutti i sondaggi la collocano ben oltre il 50% delle preferenze, contro il 30% della principale esponente dell’opposizione. Al terzo posto si trova Jorge Álvarez Máynez, del Movimiento Ciudadano, con circa l’8-10% dei voti secondo gli ultimi sondaggi.