Il risultato delle elezioni di domenica scorsa segna una battuta d’arresto per il Presidente López Obrador. Eppure rimane estremamente popolare…
Il Presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador durante una conferenza stampa sui risultati delle elezioni di medio termine, al Palazzo Nazionale di Città del Messico, 7 giugno 2021. REUTERS/Henry Romero
Il 6 giugno in Messico si sono svolte le elezioni di metà mandato per il rinnovo della camera bassa del Congresso. Secondo le previsioni – per i risultati definitivi ci vorrà qualche giorno –, il Movimento di rigenerazione nazionale (MORENA), ovvero il partito del Presidente Andrés Manuel López Obrador, ha ottenuto tra i 190 e i 203 seggi nella Camera dei deputati, su un totale di 500: è molto più di quanto abbiano ricavato i gruppi di opposizione, ma è meno dei 253 che possedeva nella legislatura precedente.
Per continuare a garantirsi la maggioranza semplice (la metà più uno), quindi, MORENA dovrà appoggiarsi al Partito verde e al Partito del lavoro, già suoi alleati. Le stime dicono che la coalizione di MORENA non avrà la maggioranza dei due terzi alla Camera, che le permetterebbe il passaggio sicuro delle riforme costituzionali, che comunque necessitano della conferma del Senato e di più della metà degli stati.
La “quarta trasformazione” del Messico
Il risultato delle elezioni di domenica scorsa è importante perché segna una battuta d’arresto per il Presidente López Obrador, il populista di sinistra in carica dal 2018, e per la sua ambizione di imprimere una svolta radicale al Messico. Sogna infatti di realizzare una “quarta trasformazione” del paese paragonabile, per portata storica, all’indipendenza dalla Spagna e alla rivoluzione del 1910.
Nelle parole, la sua è una trasformazione morale fondata sull’onestà, sull’austerità nei consumi, sul conservatorismo sociale e sull’intervento dello stato in economia, in particolare nel settore energetico. Nei fatti, la “quarta trasformazione” consiste in un tentativo di ritorno al passato dove l’ideologia ha la precedenza sulla realtà: i progetti appoggiati dal Presidente vengono cioè finanziati e portati avanti nonostante la loro sconvenienza. Sta costruendo una nuova raffineria da 8 miliardi di dollari in un momento in cui l’industria degli idrocarburi si ritrova a gestire il distacco dalle fonti fossili, per esempio. Insiste molto anche sul Tren Maya, una ferrovia turistica nella giungla del sud-est che potrebbe non ripagare le spese; il treno sarà peraltro a gasolio e non elettrico.
Il disegno di López Obrador è infarcito di nostalgia – si rifà al Messico degli anni Settanta, precedente alla sua integrazione nella globalizzazione e nelle dinamiche nordamericane –, di nazionalismo e di una retorica divisiva dove tutte le voci critiche, anche i giornalisti, sono espressioni del neoliberalismo e dunque nemici. In questi anni il Presidente ha ampliato il ruolo delle forze armate nella vita pubblica (oltre alla sicurezza, gli ha affidato la costruzione e la gestione di infrastrutture) e mostrato insofferenza nei confronti dei contrappesi democratici (come il potere giudiziario) e di tutte quelle istituzioni “intermedie” tra la presidenza e la popolazione, ricercando piuttosto un contatto diretto con le masse.
Perché non è stato un referendum su López Obrador
Le elezioni di metà mandato sono state descritte da alcuni giornali come un referendum su López Obrador. Non è così. È vero che la sua persona domina la vita pubblica messicana e l’agenda mediatica, grazie alle conferenze stampa che tiene ogni mattina, ma il Presidente e il suo partito sono due cose molto diverse.
Benché lontano dai picchi raggiunti negli anni scorsi, López Obrador rimane estremamente popolare: il suo tasso di approvazione è del 60% circa, e questo nonostante il peggioramento dei livelli di violenza, le cattive condizioni economiche e la gestione disastrosa dell’epidemia di coronavirus. La maggioranza dei messicani non approva necessariamente l’operato del Presidente: anzi, le preoccupazioni principali dell’elettorato sono l’insicurezza e l’economia. Ma ne apprezza la figura di uomo onesto e sobrio nelle spese – la sua credibilità in questo senso è di ferro – e la sua capacità di entrare in connessione con le fasce meno abbienti della popolazione.
Il partito di López Obrador, MORENA, non è mai stato popolare quanto il Presidente. D’altra parte, López Obrador non si è mai impegnato per rafforzarlo e trasformarlo in un’istituzione meglio strutturata e autonoma. Non è strano, in realtà: per un politico che ricerca un legame immediato, senza mediazioni, con la “gente”, un partito è comunque un ostacolo.
Le conseguenze internazionali
È presto per dire quali saranno le conseguenze nazionali del voto, e ancor di più per prevedere quelle internazionali. È comunque più probabile che l’agenda trasformativa di López Obrador subisca un rallentamento, piuttosto che un blocco totale. Anche perché l’opposizione non sembra avere la forza per reagire né la credibilità sufficiente davanti all’elettorato per proporre un’alternativa.
Bisognerà attendere i risultati finali delle elezioni per avere un quadro corretto, ma in campagna elettorale si è fatta notare una certa contrapposizione tra gli Stati del nord e quelli del sud che ricalca divisioni preesistenti e ribadite dall’azione di López Obrador. Il suo progetto politico si focalizza sul sud-est del Messico, la regione meno sviluppata, e dimentica invece il nord, la zona più ricca, industriale e meglio inserita nelle catene del valore nordamericane.
Quello di López Obrador è un Messico ripiegato su sé stesso che non sta prestando attenzione al processo di “accorciamento” della globalizzazione e ai piani degli Stati Uniti, che hanno impostato unacompetizione economica con la Cina e che hanno bisogno degli alleati per dotarsi di filiere sicure sulle automobili elettriche, le batterie e le nuove energie. Pur avendo le risorse naturali e il know-how manifatturiero, oggi il Messico non sembra molto interessato a partecipare alla nuova fase di integrazione industriale del Nordamerica. Più probabilmente si limiterà a svolgere il suo compito tradizionale di alleato di Washington nel contenimento dei flussi migratori che partono dall’America centrale.
Il risultato delle elezioni di domenica scorsa segna una battuta d’arresto per il Presidente López Obrador. Eppure rimane estremamente popolare…
Il 6 giugno in Messico si sono svolte le elezioni di metà mandato per il rinnovo della camera bassa del Congresso. Secondo le previsioni – per i risultati definitivi ci vorrà qualche giorno –, il Movimento di rigenerazione nazionale (MORENA), ovvero il partito del Presidente Andrés Manuel López Obrador, ha ottenuto tra i 190 e i 203 seggi nella Camera dei deputati, su un totale di 500: è molto più di quanto abbiano ricavato i gruppi di opposizione, ma è meno dei 253 che possedeva nella legislatura precedente.
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