A un anno dal colpo di Stato, il Myanmar è sull’orlo di una guerra civile. Fabio Polese ha intervistato per eastwest Nicholas Farrelly, ex direttore del Centro di ricerca sul Myanmar all’Università nazionale australiana
A un anno esatto dal colpo di Stato guidato dal generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, il Myanmar è sull’orlo di una guerra civile. “La situazione in tutto il Paese è cupa, con il Governo militare che lotta ancora per affermare il suo controllo. Affronta attivisti democratici sfiduciati, gruppi armati etnici e nuove forze della milizia, così come un’ampia opposizione da parte della popolazione in generale”.
A parlare a eastwest è Nicholas Farrelly, professore di Scienze sociali all’Università della Tasmania ed ex direttore del Centro di ricerca sul Myanmar all’Università Nazionale Australiana.
La maggior parte della ex Birmania è in fiamme. I militari al potere si aspettavano una resistenza di questa portata?
La mia impressione è che gli alti dirigenti militari siano stati sorpresi dalla furiosa reazione popolare contro il colpo di Stato. Ma non avrebbero dovuto esserlo. Era assolutamente prevedibile che il popolo del Myanmar avrebbe resistito alla dittatura dopo aver assaggiato una forma di Governo migliore, anche se ancora con delle forti limitazioni. E più a lungo la resistenza può costruire la sua forza, più sarà difficile per i generali rafforzare il loro potere.
Che ruolo hanno nel conflitto le organizzazioni etniche armate?
I principali gruppi armati sono molto attivi in questo momento, sia in termini di operazioni per difendere i propri territori e le linee di rifornimento, sia attraverso i loro contributi alla più ampia campagna contro il regime militare. Questi legami tra il movimento democratico, con le sue radici nelle grandi città e le organizzazioni etniche sulle montagne, hanno una risonanza storica.
Crede che senza il loro sostegno ci sarebbe stata una resistenza simile?
La capacità delle nuove unità armate di combattere l’esercito e la polizia del Myanmar è ovviamente migliorata dal sostegno che ricevono dagli eserciti etnici.
Molti soldati e poliziotti hanno disertato e si sono uniti a gruppi armati. Questo potrebbe essere significativo nel futuro della rivolta popolare?
Sono sicuramente importanti, perché evidenziano le vulnerabilità della macchina militare. Alcuni si sono uniti alle forze anti-golpe usando il loro addestramento e la loro esperienza per attaccare i loro ex fratelli d’armi.
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Quale ruolo svolge il National Unity Government (Nug), il Governo ombra che si è costituito dopo il golpe?
Il Nug sta cercando di giocare un ruolo cruciale a livello internazionale, ma deve affrontare molti ostacoli. Anche i Governi comprensivi in questo momento sono riluttanti a offrirgli un appoggio concreto e diretto.
Chi sta armando i gruppi popolari sostenuti dal Nug?
In generale ci sono diverse fonti di armi e munizioni che finiscono in Myanmar da tutti i Paesi vicini. I gruppi armati più significativi tendono ad avere le loro aree operative chiave direttamente adiacenti alle frontiere internazionali e in queste zone sono sempre circolate armi abbastanza facilmente.
I militari sono sostenuti da una parte del popolo?
L’esercito e le altre forze di sicurezza sono vaste burocrazie in uniforme, con profondi legami commerciali, culturali e familiari in tutto il Paese. La burocrazia civile è anche, in una certa misura, influenzata dalla cultura del potere militare che ha portato al colpo di Stato lo scorso anno. Molte persone hanno beneficiato direttamente della vecchia dittatura e alcuni sono «veri credenti». In ogni caso, non c’è dubbio, sulla base di tutti i recenti risultati elettorali, e anche sulla risposta al colpo di Stato, che la stragrande maggioranza del popolo del Myanmar non vuole vivere in una dittatura militare.
Secondo lei, quali scenari futuri potrebbero aprirsi in Myanmar?
Vale la pena considerare che il golpe potrebbe ancora fallire, con il Nug e le sue forze armate che prevalgono contro i generali. In un tale scenario il Myanmar sarebbe precario, economicamente e strategicamente, ed è probabile che ci sarà una maggiore competizione da parte delle grandi potenze per influenzare la situazione. Di sicuro, mantenere il Paese unito attraverso questo ulteriore sconvolgimento, sarebbe una sfida per qualsiasi nuovo Governo.