Tra poco parte il summit che celebrerà i 20 anni del framework voluto da Cina e Russia. Chi spera nell’ammissione è Teheran, che potrebbe trarre vantaggio dal caos lasciato dagli Usa dopo l’abbandono dell’Afghanistan
Gli obiettivi di lotta al terrorismo e al traffico di stupefacenti della Shanghai Cooperation Organization trovano un problema di grande rilevanza proprio negli sviluppi in atto in Afghanistan, Paese che, tra l’altro, è membro osservatore della Sco. Fondata nel 2001, l’organizzazione conta 8 membri — Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan —, 4 osservatori — oltre a Kabul, la Mongolia, la Bielorussia e l’Iran — e 6 dialogue partners — Armenia, Azerbaijan, Cambogia, Nepal, Sri Lanka e Turchia.
Le aspettative iraniane
Chi spera in un upgrade dello status nell’Sco è Teheran, che potrebbe paradossalmente avvantaggiarsi dal caos lasciato dagli Stati Uniti con l’abbandono dell’Afghanistan, proiettandosi nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai come attore importante per la tutela dei principi fondanti del gruppo di Stati. Il nuovo Presidente Ebrahim Raisi parteciperà alla due giorni — che celebrerà i 20 anni dell’organizzazione — in programma in Tagikistan dal 16 al 17 settembre, con l’endorsement del Paese ospitante e della Russia per un ingresso a pieno titolo nell’Sco.
Nel corso di una conferenza stampa lo scorso maggio, l’Ambasciatore tagico a Teheran dichiarò il supporto di Dushanbe alla Repubblica islamica. “Che l’Iran diventi membro è nei piani della Shanghai Organization e se le altre nazioni sono pronte ad accettarlo, il Tagikistan appoggerà la proposta”. È infatti necessario un voto all’unanimità per una simile scelta, che sarebbe spinta anche da Mosca. “Gli ostacoli politici sono stati superati”, ha recentemente commentato Nikolai Patrushev, Segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa.
Le implicazioni geopolitiche
Dell’Sco fanno già parte 4 potenze nucleari, ciascuna con i propri obiettivi e diverse problematiche da gestire. Non sono di poco conto le tensioni verificatesi — e accresciutesi — negli ultimi anni tra Cina, India e Pakistan attorno ai confini non del tutto definiti. Un ingresso dell’Iran imporrebbe a Teheran una presa di posizione su questioni che non la riguardano direttamente, ma significherebbe anche un ulteriore, decisivo avvicinamento proprio alla Cina — con la quale ha firmato un accordo commerciale di 25 anni — e la Russia, in attesa che si creino le condizioni, probabilmente nei prossimi mesi, per un agreement non dissimile da quello firmato tra Teheran e Pechino.
Da un lato, l’eventuale appartenenza al gruppo porterebbe all’Iran vantaggi diplomatici, di visibilità, di status regionale, e potrebbe consegnare una prima, prestigiosa vittoria al nuovo corso presidenziale di Raisi. Dall’altro, non sono chiari i benefici economici che Teheran trarrebbe dalla partecipazione al gruppo, essendo un’organizzazione inter-governamentale non direttamente funzionale al commercio.
Il riassetto delle potenze
Ciò che, tuttavia, è ancora una volta da segnalare riguarda il scombussolamento causato dal disimpegno statunitense dalla regione centro asiatica e dal Vicino Oriente, spazi che verranno inesorabilmente occupati da Cina e Russia, limitatamente da Iran e Pakistan. Un’apertura del gruppo ai Paesi del Golfo sembra, tuttavia, complicata in questa fase, anche se, visto il riavvicinamento tra la Repubblica islamica e Regno saudita, in prospettiva nulla si può dare per scontato.
Tra poco parte il summit che celebrerà i 20 anni del framework voluto da Cina e Russia. Chi spera nell’ammissione è Teheran, che potrebbe trarre vantaggio dal caos lasciato dagli Usa dopo l’abbandono dell’Afghanistan