Mentre Abu Mazen dialoga con Benny Gantz, sempre più giovani palestinesi, anche non musulmani, abbracciano la lotta armata e le idee di Hamas, veicolate anche tramite grandi produzioni televisive in concorrenza con quelle israeliane
Ramallah sembra essere in un luogo diverso rispetto al resto della Cisgiordania. Mentre infatti nella città sede della presidenza, del Governo e degli uffici ministeriali dell’Autorità Palestinese si decide e si orienta il futuro dei Territori e dei palestinesi nel segno di una continuità incentrata sulla conservazione del potere, le altre città esplodono di rabbia contro i vertici amministrativi.
L’idillio tra i palestinesi e l’ANP è finito da tempo (se mai è esistito), complice l’autocrazia di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che regna indiscusso dal 2005, senza possibilità di contraddittorio, visto che ha cancellato anche le ultime elezioni politiche che dovevano tenersi la scorsa primavera dopo 15 anni.
Alla fine di dicembre, il Presidente palestinese ha incontrato il Ministro israeliano della Difesa Benny Gantz a casa di quest’ultimo in Israele, attirandosi le ire dei palestinesi che hanno parlato sudditanza da parte di Abu Mazen. Nei mesi successivi e precedenti, ci sono stati altri incontri sulla sicurezza tra vertici israeliani e palestinesi, in un rinnovato dialogo che era stato interrotto bruscamente durante la presidenza americana di Donald Trump e il premierato israeliano di Benjamin Netanyahu. Non che la cosa abbia sortito effetti, anzi: con i colloqui, Abu Mazen si è isolato sempre di più rispetto alla base palestinese, sempre più fomentata dai gruppi fondamentalisti, Hamas in testa.
A far esplodere la rabbia, che covava sotto la cenere, è stata l’uccisione l’otto di febbraio a Nablus da parte di Shin Bet ed esercito israeliano, di tre palestinesi ritenuti terroristi affiliati delle Brigate Martiri di Al-Aqsa, il braccio armato del partito di Abu Mazen, Fatah. Il raid che ha portato all’uccisione dei tre, è stato organizzato se non con la complicità o l’assenso delle forze di sicurezza palestinesi, almeno con il loro silenzio, girando la faccia dall’altra parte per non guardare. Cosa che ha scatenato non poche proteste contro il governo palestinese sia ai funerali dei tre, sia nelle altre città. L’occasione è stata ghiotta, soprattutto per i gruppi fondamentalisti che tentano invano di prendere il potere in Palestina e che chiedono una politica più incisiva contro Israele, per muovere critiche ad Abu Mazen e al suo entourage. Non che l’attuale Presidente abbia fatto qualcosa per evitare di esacerbare gli animi.
Nei giorni dell’uccisione di Nablus, si teneva a Ramallah la riunione, la prima in quattro anni, del Consiglio centrale dell’Olp che include le principali le organizzazioni palestinesi (ma non Hamas e Jihad Islamica Palestinese), che è assemblea ridotta del Consiglio nazionale dell’Olp, il “parlamento” di tutti i palestinesi nei Territori occupati, nei campi profughi e in esilio. Durante la riunione si dovevano prendere importanti decisioni e si è risolta nella cooptazione di fatto nel Comitato esecutivo dell’Olp, di un fedelissimo di Abu Mazen come segretario generale, cosa che proietta il nominato, Hussein Sheikh, considerato di posizioni molto moderate, Ministro, molto vicino ad Abu Mazen e responsabile per i rapporti con Israele, in rampa di lancio come successore dell’ottuagenario presidente. Durante gli incontri, il Presidente palestinese aveva anche annunciato l’interruzione del coordinamento di sicurezza con Israele e il riconoscimento dello stato ebraico come risposta alle proteste seguenti all’uccisione dei tre, ma oramai la frittata era fatta.
Sono sempre più i giovani, anche non musulmani, che stanno abbracciando le idee di Hamas e simili e pronti alla lotta armata, sono stanchi del doppiogiochismo e della immobilità di Fatah e dell’Olp come dell’Anp. Hamas prende sempre più piede soprattutto nelle università, riuscendo ad infiltrare e diffondere le proprie idee. Per ripicca, la sicurezza palestinese, che ha dimostrato in più occasioni di non riuscire a gestire il territorio nonostante oltre il 20% del budget dell’ANP venga destinata ad essa, ha sigillato alcuni atenei.
A soffiare sulla cenere, anche la non risolta questione degli sgomberi forzati di palestinesi da quartieri di Gerusalemme Est, come Sheikh Jarrah. Quella che l’anno scorso è stata la miccia che ha contribuito all’accensione dello scontro armato con Gaza, è ancora viva. Il Governo israeliano continua nell’opera di sgombero forzato dei palestinesi dalle loro case di Sheikh Jarrah per consegnarle ai coloni. In questi giorni la tensione è sempre molto alta e si teme per il peggio. Questo perché tra aprile e maggio c’è la concomitante ricorrenza non solo degli scontri dell’anno scorso, ma anche della pasqua ebraica, di quella cattolica e del ramadan.
Da più parti si è tentato di de-scalare le tensioni, esacerbate soprattutto dalla destra israeliana, un esponente della quale si è attrezzato un ufficio dinanzi alla casa di una delle famiglie che rischia lo sgombero. Ma l’intervento delle forze di sicurezza palestinesi nelle proteste nei Territori non è servito a ridurre le polemiche e le manifestazioni anti Abu Mazen e suoi sodali, così come la diffusione di Hamas nella popolazione palestinese al di fuori della striscia di Gaza.
Dopotutto, il gruppo che governa l’area costiera tra Israele ed Egitto conta su un apparato mediatico non indifferente. Non solo video sui principali social network, in particolare TikTok, meno sottoposto a controllo e censura, ma anche film e serie tv di propaganda. È questo il caso di Qabdat al-Ahrar (“Il pugno degli uomini liberi”), una serie che andrà in onda ad aprile in occasione del Ramadan e che è stata definita la risposta di Hamas a Fauda.
Nel 2015 la rete televisiva israeliana Yes ha mandato in onda la prima serie di Fauda (Caos, in arabo) che racconta la storia di un gruppo speciale dell’antiterrorismo israeliano, impegnato nella ricerca e uccisione di un terrorista palestinese. La serie è stata poi acquistata e trasmessa da Netflix, con la terza parte che ha raccontato una missione sotto copertura a Gaza per liberare due ostaggi israeliani. Tra aprile e maggio, dovrebbe andare in onda la quarta serie, della quale sono stati diffusi dei trailer. E, quando le televisioni del mondo arabo mandano tradizionalmente in onda le loro produzioni più importanti, Al-Aqsa, una tv satellitare di Hamas, trasmetterà la risposta gazawi a Fauda.
La storia raccontata nella serie ricalca una vera, ma è stata cambiata per esigenze di propaganda. Nella serie di 30 episodi i combattenti di Hamas vengono rappresentati come eroi che, nonostante non siano armati a dovere, superano in astuzia un esercito israeliano meglio armato. La trama è incentrata su un raid israeliano fallito, che nella realtà non fallì e accadde a Gaza nel 2018. La trama della serie vede una unità israeliana a Gaza sotto copertura travestita da operatori umanitari palestinesi, che suscita sospetti in una città vicino al confine. Quando la loro copertura salta, avviene un conflitto a fuoco in cui vengono uccisi sette combattenti di Hamas e un comandante israeliano. Nella vita reale, l’unità sotto copertura è stata scoperta dai residenti locali, il bilancio delle vittime è stato sbilenco e Israele ha evacuato con successo 16 agenti sotto copertura. Nella drammatizzazione, Hamas supera brillantemente gli israeliani e ottiene una grande vittoria, con l’uccisione di diversi soldati israeliani e del loro capo.
Hamas ha prodotto sette serie e diversi film incentrati sul conflitto, la maggior parte dei quali è andata in onda sulla sua rete televisiva satellitare Al-Aqsa durante il Ramadan. Nel 2017, ha costruito un intero set cinematografico basato sulla Città Vecchia di Gerusalemme, inclusa una replica della Cupola della Roccia, parte del sito del Monte del Tempio sacro a ebrei e musulmani e un punto centrale nel conflitto israelo-palestinese. Per le riprese, Hamas, che gestisce e controlla tutta la comunicazione a Gaza, ha utilizzato attori locali, anche presi dalla strada, ma non è chiaro quanti soldi siano stati investiti, anche se i responsabili della produzione assicurano che siano arrivati con donazioni. Hamas ha detto di voler distribuire gratuitamente la serie anche in Siria, Libano, Turchia e in altri paesi islamici, per contrastare la propaganda dell’occupazione israeliana. Occhio per occhio di celluloide.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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L’idillio tra i palestinesi e l’ANP è finito da tempo (se mai è esistito), complice l’autocrazia di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che regna indiscusso dal 2005, senza possibilità di contraddittorio, visto che ha cancellato anche le ultime elezioni politiche che dovevano tenersi la scorsa primavera dopo 15 anni.