Il marito della leader d’opposizione bielorussa Tsikhanouskaya è stato condannato a 18 anni di prigione per disordini di massa e incitamento all’odio. La sentenza ha subito scatenato la reazione internazionale
Era una notizia attesa, ma la sentenza di condanna contro il marito della leader dell’opposizione bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya a 18 anni di prigione è davvero dura. La sentenza è infatti tra le più dure inflitte all’opposizione dal Presidente-dittatore Lukashenko. Syarhei Tsikhanouski era stato arrestato nel 2020 mentre faceva campagna per candidarsi alla presidenza contro Lukashenko e l’accusa era di aver organizzato disordini di massa e incitamento all’odio. Altri cinque appartenenti all’opposizione al leader bielorusso sono stati condannati a pene tra i 14 e i 16 anni.
Tsikhanouskaya, che si trova in esilio in Lituania, ha parlato di vendetta del dittatore e ha raccontato nei giorni scorsi di avere poche informazioni sulle condizioni del marito, tenuto in una cella di isolamento per 10 mesi.
La reazione internazionale all’ennesima prova di forza del regime bielorusso non si è fatta attendere. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha detto: “Né questi individui, né il popolo bielorusso, giustificano una repressione tanto dura”, mentre un portavoce Ue ha parlato dei verdetti come “parte della brutale e sistematica repressione in corso” nel Paese. Il nuovo Ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha definito “scandalose” le sentenze.
La partita Ue-Usa-Russia
La partita bielorussa si associa naturalmente a quella ucraina. In fondo, in entrambi i casi il problema sono le relazioni tra Mosca da una parte e Stati Uniti ed Europa dall’altra. Tra oggi e domani i leader europei si riuniscono per un vertice con i Paesi dell’est (il partenariato orientale) e per un Consiglio. Le crisi che riguardano i due Paesi più occidentali dell’ex blocco sovietico non entrati nell’Ue (assieme alla Moldavia) saranno naturalmente oggetto di discussione con l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia, la Moldavia e la stessa Ucraina. Sempre oggi, al quartier generale dell’Alleanza Atlantica a Bruxelles, il Presidente della Georgia Garibashvili incontrava il Segretario Generale Jens Stoltenberg. Ucraina e Georgia sono membri in attesa di entrare nella Nato dal 2008. La Russia, comprensibilmente, non vuole avere due Paesi Nato ai confini (tra l’altro due confini lontani tra loro).
A segnalare quanto le vicende che si svolgono ai confini dell’Unione europea siano importanti, c’è un nuovo vertice a tre che riunisce il Presidente ucraino Zelenskiy, il francese Emmanuel Macron e il nuovo Cancelliere tedesco Olaf Scholz. I tre si erano già visti venerdì scorso a Parigi, in occasione del primo viaggio all’estero del leader socialdemocratico tedesco.
Nel frattempo il Consiglio dei Ministri degli Esteri europei ha messo in lista nera il gruppo mercenario russo Wagner e sottoposto a sanzioni otto dei suoi comandanti e tre società collegate e l’ambasciatore di Mosca presso l’Unione europea, intervistato da EUobserver, ha garantito che non c’è nessuna invasione in programma.
La partita Europa-Nato-Russia è davvero molto intricata. Ci sono le violazioni per i diritti umani e la repressione in Bielorussia (e anche in Russia), c’è l’ammassare truppe al confine ucraino, c’è la richiesta di Mosca che la Bosnia-Erzegovina non sia più sotto tutela internazionale – proprio mentre la Repubblica Sprska, a maggioranza serba minaccia di secedere, cosa che farebbe saltare gli accordi di Dayton del 1995. Molto importante è anche la vicenda del Nord Stream 2, il gasdotto tra Russia ed Europa che aggira l’Ucraina.
Il gas, asso nella manica della Russia
Ciascuna partita è diversa, ma al fondo c’è la volontà di Mosca di esercitare la propria influenza sul mondo ex sovietico e il fastidio per le interferenza nella propria politica interna. Più che le armi e la minaccia di guerra (impopolare tra i russi), l’asso nella manica del Cremlino, specie durante questo inverno di Covid e inflazione che è in parte generata dall’innalzamento dei costi energetici, è il gas.
Il campo europeo è relativamente diviso tra i grandi Paesi preoccupati per l’aumento del prezzo del gas (Germania, Francia e Italia tra questi) e quelli più preoccupati per il dinamismo russo ai loro confini (i Baltici, la Polonia, ad esempio). In un’intervista con Politico, la Prima Ministra estone Kallas ha sostenuto che non sta a Mosca decidere chi ha diritto a entrare nella Nato e chi no. La preoccupazione a est sembra essere quella di un’Europa che non prende abbastanza sul serio le minacce di Putin.
Il punto non sarà mettersi d’accordo in caso di escalation, che produrrebbe per forza di cose una reazione dura da parte europea, ma come lavorare per evitare che dallo sfoggio dei muscoli al confine ucraino Mosca passi all’azione. Il nuovo Governo tedesco sembra voler abbassare i toni e lavorare a una mediazione tra Biden e Putin. Il clima non è dei migliori, ma come spesso accade sono le crisi a produrre grandi sforzi diplomatici capaci e costringere le cancellerie a immaginare soluzioni per evitare conflitti.