La pandemia da Covid non ha affondato l’economia cinese, che, anzi, ha avuto una crescita del Pil del 2,3% nel 2020; piuttosto, ha rafforzato il discorso retorico del Pcc all’interno della Repubblica popolare
Alla fine, sarà un bel centenario. Nonostante il Covid-19, l’aumento delle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti e con l’Occidente in generale, i fronti aperti con i vicini asiatici (dagli scontri al confine con l’India alle dispute nel Mar Cinese meridionale e nel Mar Cinese orientale con diversi Paesi Asean e con il Giappone).
Nonostante i nuovi problemi all’orizzonte, in particolare la questione demografica e un equilibrio da ritrovare con i colossi privati di un’economia che comunque continua a crescere. Insomma, nonostante tutto il Partito comunista cinese arriva al 1° luglio in ottima salute e con una presa sulla Repubblica popolare divenuta forse ancora più forte rispetto a quella pre Covid.
In molti pensavano che la pandemia potesse essere il famoso “cigno nero” per la Cina di Xi Jinping. Così non è stato. Anzi, è semmai diventato un ulteriore trampolino all’ascesa cinese. Pechino ha saputo contenere l’emergenza sanitaria, facendo ripartire per prima la sua economia e chiudendo il terribile 2020 con una crescita del Pil del 2,3%. Unico segno più tra le grandi economie mondiali. Non solo. Le difficoltà e inefficienze di tanti Paesi europei e soprattutto degli Stati Uniti hanno permesso al Partito di sottolineare le sue virtù e gli errori altrui. Le uscite di Donald Trump su virus e mascherine, così come il mancato riconoscimento del risultato delle elezioni presidenziali del 3 novembre e l’assalto a Capitol Hill, sono state presentate come segno del decadimento delle democrazie occidentali.
Mentre i rivali erano in altre faccende affaccendati, la Cina ha lanciato la sua “diplomazia delle mascherine”, con una rimodulazione in chiave sanitaria della sua Via della Seta, ha sostenuto l’export e proseguito la sua traiettoria di trasformazione del modello economico con l’annuncio della “doppia circolazione”, modello che si concentra soprattutto sullo stimolo ai consumi interni per ridurre la dipendenza dalle turbolenze in arrivo dal mondo esterno. Così facendo il Partito è riuscito a mantenere l’obiettivo storico dell’eliminazione della povertà assoluta e dunque della realizzazione di una “società moderatamente prospera” entro il 2021, in tempo per le celebrazioni del suo centenario.
Quanto è cambiato il Pcc
Il Partito è cambiato tantissimo dal 1921 a oggi. Se all’inizio era una forza rivoluzionaria e composta soprattutto da contadini e operai e impregnata di marxismo-leninismo, ora è un gigante con oltre 90 milioni di membri che provengono però soprattutto dalle classi dirigenti, accademiche e imprenditoriali, con un’ideologia patchwork che mischia elementi di socialismo, maoismo, marxismo-leninismo e capitalismo sfrenato. Eppure, Xi riesce a tenere tutto insieme in un melting pot dalle “caratteristiche cinesi” che non solo preserva il ruolo di Mao per ribadire che il Partito non sbaglia mai e non ha mai sbagliato, e allo stesso tempo recupera il confucianesimo e il valore della tradizione millenaria cinese che non viene più rinnegata come in passato ma semmai rivendicata sulla strada del riconoscimento della Cina come superpotenza culturale. E il Partito-Stato, ovviamente, è l’unico collante in grado di tenere unito un Paese immenso che separato rischierebbe la frammentazione foriera di indebolimento e domini stranieri come durante il “secolo dell’umiliazione”.
Ecco perché, a un anno di distanza dal cruciale Congresso del 2022, che dovrebbe sancire l’avvio del suo terzo mandato presidenziale, Xi appare sempre più forte. La sua Cina, che non nasconde più le proprie ambizioni e il proprio ruolo come faceva quella di Deng Xiaoping, è costruita sempre più a sua immagine e somiglianza. Partito e forze armate sono sotto il suo diretto controllo, il Politburo è pieno di suoi fedelissimi e dopo il 2022 presumibilmente lo sarà ancora di più. Il Partito, dunque Xi, controlla in modo sempre più forti le politiche economiche e con il caso di Jack Ma e Ant Group ha dimostrato che non intende lasciare spazio di critica politica ai colossi tecnologici e alle entità private, per non ripetere l’errore della Russia con gli oligarchi. Proprio quella Russia che si sta avvicinando sempre più a Pechino, come dimostra il nuovo summit tra Xi e Putin di lunedì 28 giugno, che segue di pochi giorni l’incontro del Presidente russo con Joe Biden a Ginevra. È attraverso questo rapporto che si gioca molto del futuro posizionamento globale cinese, con Mosca che per ora accetta l’abbraccio di Pechino consapevole che possa essere un’importante arma negoziale in un ipotetico riavvicinamento con l’Occidente.
Le celebrazioni
Intanto, le celebrazioni del centenario del Pcc sono cominciate. Nell’iconico Stadio olimpico “Nido d’uccello” si è tenuto lo spettacolo “Il grande viaggio”, a cui ha preso parte il Comitato permanente del partito al completo più il Vicepresidente Wang Qishan. Mentre Xi ha consegnato nella Grande Sala del Popolo le “medaglie del primo luglio” a 29 eroi della patria: membri del Partito, giornalisti, diplomatici, comuni cittadini e anche uno dei soldati morti durante gli scontri del 2020 lungo il confine con l’India. Il ciclo di eventi si concluderà giovedì con un discorso di Xi, che darà indicazioni anche sulla traiettoria futura della Cina, con un occhio al secondo grande centenario del 2049 (quello della fondazione della Repubblica popolare) e alla cruciale data a mezza via del 2035, il probabile orizzonte politico di Xi entro il quale la Cina dovrebbe aver già da tempo completato il sorpasso agli Stati Uniti per diventare la prima economia mondiale. Non ci sarà una vera e propria parata dell’Esercito Popolare di Liberazione, con la speranza che l’ascesa cinese possa continuare senza tensioni militari.
La pandemia da Covid non ha affondato l’economia cinese, che, anzi, ha avuto una crescita del Pil del 2,3% nel 2020; piuttosto, ha rafforzato il discorso retorico del Pcc all’interno della Repubblica popolare