L’affaire de coeur tra uomo e auto volge forse al termine?
Il dibattito su quando il pianeta raggiungerà il “picco del petrolio” – cioè il punto massimo di estrazione con conseguente impennata dei prezzi – va avanti dagli anni Cinquanta. Ma forse, senza accorgercene, abbiamo già superato il “picco auto”. Un recente studio dell’Istituto di ricerca sui trasporti dell’Università del Michigan dovrebbe fare drizzare le orecchie a chi si occupa di politiche sociali o si guadagna il pane con l’industria automobilistica.
Dal 2004, ogni anno gli Americani (massimi consumatori mondiali di petrolio) hanno meno automobili, guidano meno e consumano meno carburante. Stranamente, il “peak auto” è avvenuto prima dell’implosione del sistema finanziario Usa e la recessione che l’ha seguita. Non è perciò un prodotto del declino economico, anzi, lo studio del professor Michael Sivak cita fattori strutturali di lungo corso che avrebbero portato al calo dell’uso dell’automobile.
“Probabilmente la contrazione dei dati prima del 2008 è dovuta a mutamenti sociali che hanno ridotto il bisogno di automobili (l’aumento del telelavoro o dei trasporti pubblici; l’incremento della popolazione urbanizzata)” scrive Sivak nel suo rapporto del novembre 2013.
La ricerca ha anche segnalato che sempre meno giovani prendono la patente. Di certo, gli Americani che raggiungevano la maggiore età negli anni Cinquanta, quando Detroit sfornava i suoi bolidi cromati, o che negli anni Sessanta si dimenavano al ritmo di Little Deuce Coupe dei Beach Boys, li compatiranno molto. Perfino negli anni Settanta, l’album Born to run di Bruce Springsteen era pieno di canzoni sulle auto. Chi oggi dedicherebbe una canzone a una Smart o a una Ford Focus?
Il rapporto indica che la distanza percorsa pro capite ha raggiunto un picco definitivo nel 2004, ma aggiunge che “se il numero di veicoli a testa, per conducente e per famiglia continua a calare, è possibile che la distanza percorsa per veicolo possa aumentare fino a superare
quel valore”. Si lascia uno spiraglio a un possibile picco futuro, pur ammettendo che probabilmente è già passato.
L’idea che gli Americani facciano percorsi più brevi, con meno automobili che consumano meno carburante (e lo studio includeva anche SUV e pick-up) piacerà agli ambientalisti e ai politici a favore dell’“indipendenza energetica” degli Usa. Ma i produttori di auto nei paesi sviluppati tremano.
Per loro fortuna, la domanda dei consumatori cinesi dovrebbe continuare a crescere.
All’inizio di gennaio l’Associazione cinese dell’industria automobilistica sponsorizzata dal governo, ha dichiarato che nel 2013, in Cina, le vendite di auto sono salite a 18 milioni e nel 2014 potrebbero superare i 24 milioni (negli Usa è prevista la vendita di circa 15,8 milioni di vetture).
Secondo le previsioni di LMC Automotive, entro il 2016 le vendite mondiali sfonderanno la “barriera dei 100 milioni”, il doppio rispetto alla metà degli anni Novanta, con in testa Cina, Brasile, India e Russia. Mentre nessuno crede l’Europa capace di raggiungere le vette del 2007.
“Socialmente e demograficamente siamo a un punto di svolta: in termini di assorbimento, il Vecchio Mondo è saturo” dice Carlos Da Silva, responsabile IHS per le previsioni di vendita di veicoli leggeri in Europa. “Le auto sono soggette a vincoli sempre maggiori mentre aumentano gli investimenti nel trasporto pubblico”.
Anche l’invecchiamento della popolazione e la disoccupazione giovanile sono, a suo parere, tra i principali motivi per cui il mercato europeo è sceso al terzo posto dietro a Cina e Stati Uniti, con soli 12 milioni di vetture vendute nel 2013 (prima della crisi era il mercato più importante).
L’industria automobilistica si trova costretta a cercare nuove fonti di profitto e nuove soluzioni business, come il car sharing o altri “servizi di mobilità”.
In Europa, i colossi del lusso Daimler e BMW hanno avviato servizi di mobilità per gestire i loro programmi di car sharing Car2go e Drivenow, e investono in software in grado di condividere parcheggi inutilizzati via smartphone, in luoghi come rampe private, scuole o chiese.
“I produttori devono svegliarsi e correre ai ripari” afferma Jean François Trembley, consulente di Ernst&Young per il settore.
L’industria dell’auto non sa quando e se i servizi di mobilità potranno compensare la decrescita “post picco”. Il car sharing è un modo per far provare certe vetture ai giovani così da invogliarli all’acquisto della prima auto. “Gli utenti del car sharing hanno dieci anni meno dei nostri acquirenti” dice Tony Douglas, direttore di marketing e vendite dei servizi di mobilità di BMW.
La redditività dei produttori di auto non sarebbe così fondamentale se non fosse per tutti gli operai non specializzati a cui riconoscono paghe dignitose in un periodo in cui datori di lavoro del genere scarseggiano. Tradizionalmente, l’industria automobilistica ha permesso a generazioni di tute blu di accedere a un benessere da classe media con effetti benefici sull’economia in generale, dato che, come aveva previsto Henry Ford quando istituì il salario da 5 dollari al giorno, quei lavoratori sono diventati consumatori.
Il “picco auto” porterà vantaggi all’ambiente, ma la ridotta platea lavorativa per operai non specializzati restringerà ancor più la classe media con conseguenze politiche ancora tutte da valutare.