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Petrolio, gli Usa alla ricerca di nuove forniture dopo il ban al gas russo


Gli Stati Uniti cercano nuovi produttori internazionali per calmare i prezzi. La realtà è che oggi non esiste un singolo Paese capace di sostituire, da solo e in tempi brevi, i 7 milioni di barili che la Russia esporta ogni giorno

Martedì gli Stati Uniti hanno annunciato il blocco delle importazioni di carbone, petrolio e gas naturale dalla Russia con l’obiettivo di danneggiare il regime di Vladimir Putin per l’invasione dell’Ucraina, privandolo della fonte di entrate più rilevante. Lo stesso giorno il Regno Unito, similmente, ha detto che vieterà gli acquisti del solo petrolio russo ma in maniera graduale (l’azzeramento verrà raggiunto entro la fine dell’anno); il gas non è stato messo al bando, ma è una possibilità che Londra sta valutando. Ancora meno incisiva è stata l’Unione europea: ha fatto sapere che ridurrà di due terzi le importazioni di gas russo nel 2022, diversificando i fornitori e le fonti, e si renderà completamente indipendente dagli idrocarburi di Mosca entro il 2030.

Tre approcci diversi, quindi, figli di tre contesti diversi. Gli Stati Uniti sono i primi produttori di petrolio e gas naturale al mondo, oltre che degli importanti minatori di carbone; non importano affatto gas dalla Russia e ne acquistano greggio e prodotti petroliferi in quantità limitata (per il 7%; la quota del Canada, a fare un paragone, è del 52%). Anche il Regno Unito non è un grande acquirente di petrolio (8% sul totale importato) e gas (4%) russi, ma non è una potenza produttrice come l’America. L’Unione europea, infine, è sia carente dal punto di vista della produzione energetica interna (importa il 90% del gas e il 97% del petrolio che consuma), sia estremamente dipendente da Mosca per il petrolio (25%), il gas (40%) e il carbone (50%).

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