Il Governo Morawiecki non intende sborsare il milione di euro al giorno a cui è stato condannato. Nel frattempo von der Leyen indica la via maestra per scongelare i fondi del Recovery Plan e il Parlamento fa causa alla Commissione
Altro che un milione al giorno. La Polonia “non pagherà un solo un euro a Bruxelles”, dice Varsavia all’indomani dell’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Ue che ha comminato un’ammenda dal valore storico di un milione di euro al giorno.
La multa arrivata per non aver sospeso – nelle more del giudizio – il funzionamento della Camera disciplinare della Corte suprema, accusata di limitare, con l’influenza della politica, l’indipendenza della magistratura, decidendone sanzioni, promozioni e trasferimenti. Criticità chiara anzitutto agli stessi colleghi giudici. Giovedì 28 ottobre, infatti, durante l’assemblea generale a Vilnius, l’Encj, la rete europea dei Consigli della magistratura presieduta dall’italiano Filippo Donati, ha espulso con un voto segreto passato a larga maggioranza e senza opposizione, il Krs, il Csm polacco, che dall’organo comunitario era già sospeso dal 2018. Una “decisione dolorosa ma ineluttabile”, ha spiegato il vicepresidente del Csm italiano David Ermini, che ha partecipato alla riunione e si è unito al coro di chi ha denunciato “la progressiva ed evidente compromissione dei requisiti di indipendenza e autonomia della magistratura polacca e del suo organo rappresentativo”.
Per quanto spinoso, questo non è il solo fronte aperto tra Polonia e Ue. Il Ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro ha detto chiaramente che il Governo non verserà nelle casse della Commissione neppure l’altra penalità, inflitta il mese scorso per un valore di 500mila euro al giorno in seguito alla mancata chiusura della miniera di carbone di Turow. Con la Polonia intenzionata a non pagare le due ammende, Bruxelles potrà pur sempre detrarre le somme dovute dai finanziamenti che versa periodicamente a Varsavia, principale beneficiaria del bilancio Ue, spiegano fonti Ue. Pronta la risposta polacca: “Vorrà dire che ciò che perderemo lo toglieremo dal nostro contributo al budget comune”.
Insomma, nell’autunno caldo del Vecchio continente non passa giorno, nelle stanze del potere europeo, senza che il dossier Polonia non accenda la fiamma dello scontro con le istituzioni Ue. E il caos è presto servito. Non è bastata la settimana che ha visto prima il duello in Parlamento europeo tra la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il premier di Varsavia Mateusz Morawiecki e poi il confronto a porte chiuse fra quest’ultimo e i suoi colleghi al vertice del 21-22 ottobre. Due appuntamenti seguiti dall’affondo a mezzo stampa di Morawiecki, che rispondendo a una domanda del Financial Times ha bollato come scintille di una “terza guerra mondiale” le richieste dell’Ue sul rispetto dello stato di diritto e lo stop alla riforma della giustizia in Polonia; e dalla replica a distanza del premier belga Alexander De Croo, in occasione all’apertura dell’anno accademico del Collegio d’Europa di Bruges: “Non puoi intascare tutti i soldi ma rifiutare i valori”.
A questo punto della storia, nel cuore dell’Europa è un tutti contro tutti. E il capolinea è sempre Lussemburgo, dove ha sede la Corte di Giustizia. Protagonista in prima linea nella battaglia sulla legalità nel blocco di Visegrád (e non solo), il Parlamento europeo ha confermato con i fatti, venerdì 29 ottobre, l’annuncio che era arrivato una settimana fa: porta la Commissione davanti ai giudici europei per non aver finora attivato il meccanismo di condizionalità che subordina l’erogazione dei fondi al rispetto delle norme a tutela dello stato di diritto. Si tratta di un ricorso in carenza in piena regola, con tutte le difficoltà del caso – fanno notare gli europarlamentari più esperti -, perché la Corte Ue ben potrebbe non ravvisare un effettivo obbligo della Commissione nell’attivazione dello schema. La posta in gioco è anzitutto politica, e questo tutti gli attori coinvolti lo sanno.
Per questa ragione, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen – che si è impegnata a non usare lo schema fino alla pronuncia sulla sua legittimità da parte della Corte Ue -, è tornata a parlare in maniera costruttiva di Recovery Plan polacco: un bottino, fra prestiti e sussidi, di 36 miliardi di euro. L’esecutivo Ue non ha ancora dato il via libera alla strategia di Varsavia ma von der Leyen si è detta pronta a sbloccare la procedura se le riforme necessarie verranno realizzate. Tra queste rientra anche lo smantellamento dell’organo disciplinare, su cui c’è adesso si registra l’apertura di Varsavia. “Ma ci vorranno comunque mesi”, ha fatto sapere Morawiecki, il quale vorrebbe prima passare all’incasso.