Le parole del Presidente russo rilanciano la versione di Mosca sull’invasione dell’Ucraina: sono gli Stati Uniti i colpevoli di averla provocata attraverso una politica di espansione della Nato
Nel suo discorso alla Conferenza sulla sicurezza internazionale di Mosca, il Presidente russo Vladimir Putin ha cercato di collegare la questione ucraina a quella taiwanese, sostenendo che la recente visita a Taipei della Speaker americana Nancy Pelosi sia stata una “provocazione accuratamente pianificata” nei confronti della Cina, che considera l’isola una provincia del suo territorio (pur essendo, nei fatti, un paese a sé).
Le parole di Putin rappresentano un tentativo di rilancio della versione di Mosca sull’invasione – che il Cremlino non chiama così, in realtà – dell’Ucraina. La Russia sostiene che la responsabilità della crisi vada ricondotta principalmente agli Stati Uniti, a suo dire colpevoli di averla provocata attraverso una politica di espansione della Nato in prossimità dei suoi confini, violando un accordo stretto decenni fa. È falso, sia perché quell’accordo non esiste – ci furono sì delle discussioni, che però non si tradussero mai in un patto formale e soprattutto si riferivano al territorio dell’Unione sovietica, non della Russia –; sia perché la Nato non si espande, ma decide di accogliere nuovi membri a seguito delle loro richieste di adesione; sia perché l’Ucraina non era vicina all’ingresso nell’alleanza atlantica quando venne attaccata.
Durante il suo discorso all’evento, Putin ha anche menzionato l’Aukus (l’accordo di collaborazione militare tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti), presentandolo come una prova dell’intenzione dell’Occidente di creare un’alleanza sulla sicurezza paragonabile alla Nato nella regione dell’Asia-Pacifico. Il Presidente russo ha più volte parlato della necessità di contrastare la presunta egemonia occidentale e utilizzato una retorica anti-neocolonialista per corteggiare i governi in Asia, Africa e America latina: l’obiettivo è convincerli ad avvicinarsi a Mosca, offrendo loro forniture di energia e armi e la visione di un “ordine mondiale multipolare”.
A detta di Putin, dunque, la visita di Pelosi a Taiwan non è stata “solo un viaggio di un singolo politico irresponsabile, ma una parte di una strategia statunitense consapevole e mirata a destabilizzare e seminare il caos nella regione e nel mondo”. Per via della separazione dei poteri, l’amministrazione del Presidente Joe Biden non può decidere cosa un membro del Congresso americano può o fare o meno.
Nei contenuti, la retorica russa su Taiwan è allineata a quella cinese: i due Paesi sono legati da una partnership che non è, tuttavia, un’alleanza. “Vediamo anche”, ha aggiunto Putin, “che l’Occidente sta cercando di estendere il suo sistema di blocchi alla regione Asia-Pacifico, in analogia con la Nato in Europa. A questo scopo, si stanno formando alleanze politico-militari aggressive, come l’Aukus e altre”.
Le parole di Putin rappresentano un tentativo di rilancio della versione di Mosca sull’invasione – che il Cremlino non chiama così, in realtà – dell’Ucraina. La Russia sostiene che la responsabilità della crisi vada ricondotta principalmente agli Stati Uniti, a suo dire colpevoli di averla provocata attraverso una politica di espansione della Nato in prossimità dei suoi confini, violando un accordo stretto decenni fa. È falso, sia perché quell’accordo non esiste – ci furono sì delle discussioni, che però non si tradussero mai in un patto formale e soprattutto si riferivano al territorio dell’Unione sovietica, non della Russia –; sia perché la Nato non si espande, ma decide di accogliere nuovi membri a seguito delle loro richieste di adesione; sia perché l’Ucraina non era vicina all’ingresso nell’alleanza atlantica quando venne attaccata.