Gli allarmanti scontri al confine tra i due Paesi sono un chiaro messaggio sulla pericolosità dell’escalation violenta di un conflitto mai sopito, sfruttato a livello geopolitico dalle grandi potenze
Quanto sta avvenendo negli ultimi giorni al confine tra la Serbia e il Kosovo riporta l’opinione pubblica alle tragiche tensioni vissute nel corso delle guerre jugoslave. Un passato violento per le nazioni della regione, che ancora oggi non trovano pace, spesso influenzate nelle loro scelte dalle grandi potenze, impegnate a confrontarsi in molteplici aree del globo. Ad aggiungersi al quadro internazionale del tutto destabilizzato con l’invasione della Russia in Ucraina, gli scontri verificatesi in seguito alla decisone del Governo di Pristina sui nuovi documenti e le targhe delle auto, che obbligatoriamente dovranno essere rilasciati dal Kosovo.
Nella parte nord del Paese la maggioranza di cittadini è serba, legata economicamente e istituzionalmente a Belgrado, tanto da non riconoscere l’indipendenza annunciata nel 2008. La scelta del Primo Ministro Albin Kurti ha causato sconcerto nella comunità serba, che — secondo la nuova normativa — avrebbe dovuto cambiare le targhe delle auto da serbe a kosovare, e richiedere nuove carte d’identità rilasciate da Pristina. Una decisione che agli occhi della Serbia e della maggioranza serba nel nord del Kosovo è sembrata una provocazione, che ha causato un rimpallo di accuse con Belgrado, coinvolgendo anche la Federazione russa, l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Nato.
Al momento, la deadline per il cambio di documentazione è stato rimandato di un mese, al primo settembre, dopo un imponente lavoro diplomatico messo in piedi dalle numerose autorità interessate. Gli Usa, che riconoscono l’autonomia di Pristina, fanno sapere, tramite l’Ambasciatore in Kosovo Jeffrey Hovenier, che è di grande importanza la scelta del posticipo di 30 giorni annuncia dal Governo Kurti. Hovenier crede che la decisione sui documenti rientri all’interno dello spazio di manovra concesso dai Bruxelles Agreements e che sulla questione ci sia stata una cattiva informazione.
Un tentativo di gettare acqua sul fuoco che non convince Mosca, vicina alla Serbia e all’esecutivo di Aleksandar Vucic. Infatti, la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova accusa Pristina di usare regole discriminatorie contro i serbi del nord, “un altro passo verso l’allontanamento dei serbi del Kosovo finalizzato a ridurre il potere delle loro istituzioni, che li proteggono dall’arbitrarietà dei radicali di Pristina guidati da Albin Kurti”. Parole al vetriolo che vanno a colpire anche Stati Uniti e Unione Europea, quest’ultima — secondo Zakharova — incapace di garantire la mediazione tra le parti. A fare da eco a Zakharova il collega Dmitry Peskov, che ritiene la nuova normativa kosovara irragionevole, e invita le nazioni che riconoscono Pristina a consigliare il Governo Kurti nel migliore dei modi. “Serve prudenza da entrambe le parti, per fortuna questa decisione è stata rimandata di un mese”.
Ma la situazione è talmente incandescente che la missione Nato KFOR è intervenuta con un comunicato, nel quale spiega che le forze del Patto atlantico sono pronte a intervenire se la stabilità dovesse essere messa in discussione. La Nato, si legge nel documento, appoggia la facilitazione del dialogo approntata dall’Ue. Bruxelles, dal canto suo, ringrazia l’Ambasciata Usa in Kosovo per la mediazione esercitata. Anche il Presidente serbo Vucic spera nel dialogo per risolvere la questione pacificamente.
In seguito all’occupazione russa di ampie regioni dell’Ucraina, l’Unione europea ha chiesto ai Paesi dell’area un allineamento sulle sanzioni contro Mosca. Appello seguito da Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia ed Herzegovina e Kosovo, ma non dalla Serbia, che ancora una volta è appoggiata dalla Federazione. Le ultime tensioni con Pristina sono, per ora, rientrate. Ma il timore è che tra un mese possa ristoppiare un focolaio, che rischia di estendersi nel resto della regione.
Nella parte nord del Paese la maggioranza di cittadini è serba, legata economicamente e istituzionalmente a Belgrado, tanto da non riconoscere l’indipendenza annunciata nel 2008. La scelta del Primo Ministro Albin Kurti ha causato sconcerto nella comunità serba, che — secondo la nuova normativa — avrebbe dovuto cambiare le targhe delle auto da serbe a kosovare, e richiedere nuove carte d’identità rilasciate da Pristina. Una decisione che agli occhi della Serbia e della maggioranza serba nel nord del Kosovo è sembrata una provocazione, che ha causato un rimpallo di accuse con Belgrado, coinvolgendo anche la Federazione russa, l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Nato.