Il vertice servirà all’Unione europea per rafforzare la sua influenza nel continente africano, approfittando del calo degli investimenti cinesi negli ultimi due anni
Il vertice con l’Unione africana servirà all’Unione europea per rafforzare la sua influenza in Africa, approfittando del calo degli investimenti cinesi. O almeno dovrebbe.
Se è vero che l’influenza geopolitica si proietta attraverso la connettività, fisica o informatica che sia, nei documenti riservati circolati prima dell’inizio del summit venivano appunto elencati, per l’Africa, progetti di connessione digitale, di reti di trasporto, di incentivi per la transizione alle energie a basse emissioni di carbonio. Il contenitore di tutte queste iniziative è il Global Gateway, il piano di Bruxelles sulle infrastrutture che ambisce a rivaleggiare con la Belt and Road Initiative cinese e con il Build Back Better World statunitense per aumentare la rilevanza dell’Europa nel mondo.
La Cina investe meno in Africa
Il momento è favorevole per un pivot to Africa dell’Unione europea. La Cina, che vanta una presenza economica massiccia nel continente, vi sta infatti investendo meno, soprattutto dall’inizio della pandemia di coronavirus.
Alla riunione, l’anno scorso, del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), il Presidente Xi Jinping ha parlato di investimenti per 40 miliardi di dollari: vale a dire – come ricostruisce Politico – circa un terzo in meno rispetto agli impegni precedenti. Anche le somme dei prestiti concessi sono in calo: 7,6 miliardi in tutto nel 2019, contro il picco massimo di 29,5 miliardi nel 2016.
Pechino ha un vantaggio economico, e di narrazione
Non significa che sostituirsi a Pechino sarà facile, per Bruxelles. Oltre al vantaggio di partenza sui legami commerciali e sulle opere realizzate, infatti, la Repubblica popolare ha dalla sua la cooperazione sui vaccini (ha promesso un miliardo di dosi aggiuntive): un punto invece di frizione tra l’Africa e l’Unione europea, che non vuole rinunciare ai brevetti.
Un’altra arma in mano alla Cina è la propaganda: può cioè sfruttare il passato coloniale degli europei per presentarsi agli africani come una nazione-sorella impegnata anche lei nella “lotta contro l’imperialismo” (parole di Xi al FOCAC).
La governance di Internet
Infine, la Cina offre ai regimi africani un modello attrattivo di governance del cyberspazio. Di recente l’amministrazione nigeriana è recata a Pechino per prendere spunto dalla Great Firewall, il sistema elaborato dal Partito comunista per il monitoraggio e la censura dell’Internet nazionale. L’Unione europea propone degli standard che sono l’esatto contrario: basati sulla libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani.
Proprio in Nigeria si è recata nei giorni scorsi Margrethe Vestager, commissaria per la Concorrenza e a capo dell’agenda digitale di Bruxelles. Ma dallo scorso giugno e fino a un mese fa Abuja aveva messo al bando Twitter dopo che la piattaforma aveva rimosso un messaggio del presidente Muhammadu Buhari che minacciava la repressione violenta delle proteste dei secessionisti.
Investimenti privati, poi pubblici
I soldi offerti dall’Europa, nota bene Politico, potrebbero non bastare a superare le divergenze di approccio. Soldi che – il fondo per l’Africa vale in tutto 150 miliardi di euro in sette anni – proverranno principalmente da soggetti privati interessati, e solo in misura minore dalle casse pubbliche.