Lo ha annunciato con grande soddisfazione la Ministra dell’Ambiente Annika Strandhäll. Le scorie radioattive verranno immagazzinate nei pressi di Forsmark. Il Paese sarà così uno dei pochi a poter contare su un deposito geologico
Dopo anni di discussioni, giovedì 27 gennaio la Svezia ha approvato il progetto per la costruzione di un deposito definitivo per i rifiuti nucleari. Lo ha annunciato la Ministra dell’Ambiente Annika Strandhäll, senza nascondere la propria soddisfazione per la risoluzione di “una delle questioni che il Governo ha analizzato con più attenzione” nella storia svedese.
Le scorie radioattive verranno immagazzinate nei pressi di Forsmark, luogo in cui è attiva una delle tre centrali nucleari del Paese scandinavo. Saranno disposte in gallerie, a 500 metri di profondità, all’interno di contenitori di rame. L’intero progetto è pensato per fare sì che i rifiuti possano stare in sicurezza per almeno 100mila anni, tempo in cui la loro radioattività decadrebbe, fino ad arrivare a livelli talmente bassi da non essere più pericolosi. La contaminazione dell’ambiente circostante sarà impedita a vari livelli. Il rame è uno dei metalli più resistenti della terra e non dovrebbe incappare in una rapida corrosione. Le gallerie, poi, saranno situate sotto uno strato di roccia, che dovrebbe a sua volta isolare le sostanze nucleari, e verranno infine riempite di argilla, materiale che dovrebbe al tempo stesso attutire i movimenti del sottosuolo e impedire che l’acqua possa arrivare a contatto con i contenitori.
Entro il 2025 la Svezia potrà quindi contare sul proprio deposito geologico, come è chiamato questo tipo di struttura. E sarà uno dei pochi stati a poterlo fare: fino ad ora, l’unico sito di stoccaggio in funzione si trova negli Stati Uniti, mentre è stato approvato e sta venendo ultimato quello finlandese. Avere un deposito geologico è estremamente importante, per tutti gli stati che contano sull’energia nucleare o hanno avuto centrali in funzione. Si tratta infatti dell’unico luogo in cui è possibile lasciare in sicurezza le scorie altamente radioattive, prodotte con l’energia atomica ma anche con la ricerca e con la medicina.
I rifiuti nucleari
Al momento, quasi ovunque nel mondo, queste sono immagazzinate nei pressi delle centrali, ma si tratta di una condizione che non è sicura a lungo termine. Al tempo stesso, però, il processo che va seguito per costruire un deposito geologico è lungo e costoso: sono necessari anni di ricerca, per riuscire ad individuare un luogo che possa garantire una stabilità geologica per un tempo che oggi sembra interminabile, considerando tutti i possibili scenari futuri. Il luogo prescelto deve essere lontano dalle zone sismiche e deve soprattutto presentare un rischio minimo di contaminazione delle falde acquifere: per questo ad essere privilegiati sono i siti isolati da uno strato di argilla, granito o salgemma, materiali pressoché impermeabili.
La scelta, poi, è complessa dal punto di vista politico. La pericolosità dei rifiuti nucleari è nota alla popolazione e questo fa sì che nessuno sia disposto ad accettare la presenza di un deposito nei dintorni del luogo in cui vive. In alcuni casi, le proteste della popolazione sono state talmente forti che – anche grazie ad una serie di argomenti a loro favore – sono riuscite a mettere in discussione decisioni già prese. Emblematico è il caso di Gorleben, in Germania. Nel 1977 l’ex miniera di sale che si trovava in questo paesino è stata individuata come il luogo adatto a uno stoccaggio definitivo delle scorie.
Da subito, però, la decisione è stata contestata dai cittadini e dai gruppi ambientalisti. Si accusava il Governo dell’allora Germania ovest di aver fatto un scelta puramente politica: Gorleben si trovava in un’area scarsamente popolata ed economicamente depressa, per di più al confine con la DDR, ed era dunque facile mettere i suoi interessi in secondo piano. Oltre a questo, gli attivisti sostenevano che gli standard di sicurezza non fossero sufficientemente elevati. Nel 2020, è stata data loro ragione: il Governo è tornato sui propri passi ed ha pubblicato una nuova lista dei luoghi possibili, senza includere Gorleben. Qualcosa di simile è successo anche negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Obama ha revocato la decisione di costruire un deposito a Yucca Mountain, nel Nevada: il cambiamento climatico rendeva infatti il sito non sufficientemente sicuro.
A che punto è l’Unione europea?
In questo panorama, l’Unione europea non si contraddistingue per una posizione all’avanguardia: finora si è limitata ad affrontare la questione con una direttiva del 2011, che ha imposto ai singoli Paesi di gestire autonomamente e sul proprio territorio i rifiuti prodotti. Gli Stati membri dal canto loro, tolti Svezia e Finlandia, sono per lo più in una fase di stallo. Germania, Francia e altri stanno portando avanti le ricerche, ma sono ancora lontani dall’approvazione definitiva di un sito; anche se questo accadesse rapidamente, poi, la costruzione richiederebbe ancora oltre dieci anni. Molti stati invece non stanno proprio agendo: sono quelli di piccole dimensioni o con una ridotta attività nucleare, consapevoli che la costruzione di un proprio deposito geologico comporterebbe dei costi troppo elevati, rispetto alla minima quantità di rifiuti che vi verrebbe immagazzinata.
Del secondo gruppo fa parte anche l’Italia. Circa un anno fa sono state rese note le possibili località dove verrà costruito il deposito nazionale: questo sarà però superficiale e adatto ai rifiuti a bassa e media radioattività, per ora sparsi in una ventina di depositi provvisori. Resterebbero quindi escluse le scorie altamente radioattive, quelle maggiormente pericolose e con il tempo di decadimento più lungo, per le quali non esiste un vero progetto. Per smaltire questi rifiuti, che misurano 15mila metri cubi, è probabile che l’Italia cerchi di arrivare alla creazione di un deposito geologico comunitario, insieme ad altri Stati europei con quantità ridotte di scorie. La possibilità esiste ed è prevista dalla stessa direttiva del 2011, come eccezione alla regola: in ogni caso, sarebbe necessario trovare un accordo e convincere un Paese a farsi carico anche dei rifiuti altrui.