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Non tutto luccica a Taipei


Modello di democrazia, ma anche molti nodi irrisolti per i Taiwanesi. Bassi salari, alte tasse universitarie, alti prezzi degli alloggi, questo significa far fatica a costruire una famiglia. Entro il 2050 Taiwan potrebbe perdere un quarto della sua attuale popolazione

Se in Asia c’è un esempio brillante di democrazia, questo è probabilmente Taiwan. Dal 1996, anno delle elezioni che hanno portato Lee Teng-hui a diventare il primo presidente democraticamente eletto, Taipei ha fatto passi da gigante. Ci sono stati tre passaggi di potere del tutto pacifici, con gli sconfitti che hanno accettato l’esito delle urne, nonostante la forte polarizzazione che contraddistingue un sistema politico basato sulla contrapposizione tra il Partito progressista democratico (DPP) e il Kuomintang (KMT). L’avanzamento dei diritti è stato costante e ha portato Taiwan a diventare nel 2019 il primo luogo in Asia a riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Negli scorsi mesi è arrivato anche il via libera alle adozioni per le coppie gay. Il governo, anche grazie all’attività della ministra degli Affari digitali Audrey Tang, promuove un sistema di governance partecipativa che utilizza consultazioni pubbliche per recepire indicazioni e suggerimenti sulle politiche da attuare.

Detta così, sembra una favola. Anche perché nella narrazione mediatica occidentale prevale spesso un racconto “esterno” di Taiwan, legato più che altro al triangolo con Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese e alle questioni legate alla sicurezza o esercitazioni militari. Sul fronte interno, si resta piuttosto in superficie. Eppure, com’è normale che sia per qualsiasi democrazia al mondo, anche a Taiwan tra le tante luci non mancano certo le zone d’ombra.

Le zone d’ombra: il mercato del lavoro

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