Si concretizza la visita della Speaker democratica a Taipei, ma lo sguardo deve essere rivolto anche alle altre azioni diplomatico-militari in atto in questi giorni
La stampa internazionale si è focalizzata negli ultimi due giorni sulla visita lampo a Taiwan della speaker Nancy Pelosi. Un viaggio in Asia con numerose tappe per la rappresentante statunitense, con lo sbarco a Taipei annunciato diverse settimane fa, rimandato e poi avvenuto tra martedì e mercoledì. L’isola al largo della Cina rimane centro focale degli interessi geostrategici non solo di Pechino ma di molteplici altri attori globali, con la regione dell’Indo-Pacifico sempre più contesa a suon di accordi e tentativi di alleanze.
Se Formosa può essere vista come l’apice delle diatribe in svolgimento nell’ampia area pacifica, non sono di poco conto le mosse attuate dai vari Governi negli ultimi anni, che proseguono incessantemente persino nella stessa settimana nella quale Pelosi si è recata sull’isola. Infatti, da registrare alcuni avvenimenti meno mediatici e più di nicchia, ma dal grande valore concreto e simbolico, che vanno annoverati nel quadro del confronto tra Cina e Stati Uniti, e rispettivi alleati.
A cominciare dall’invito rivolto dalla Nuova Zelanda al Comandante delle forze Usa nell’Indo-Pacifico, l’Ammiraglio John Aquilino, recatosi a Wellington per incontrare vertici militari e politici. L’Ammiraglio, a capo dell’USINDOPACOM, U.S. Indo-Pacific Command, composto da 380mila tra soldati, marinai, piloti, ufficiali della guardia costiera e civili del Dipartimento alla Difesa, è alla ricerca del rafforzamento delle operazioni militari tra Washington e la Nuova Zelanda, uno step successivo al recente incontro alla Casa Bianca tra Joe Biden e Jacinda Ardern.
La necessità di preservare le regole internazionali sul passaggio delle navi è il mantra che guida da tempo le affermazioni dei funzionari statunitensi e non solo, aspetto ribadito nel corso dell’incontro Biden-Ardern e rimarcato da Aquilino in Nuova Zelanda con il Capo di Stato Maggiore Kevin Short. Washington e Wellington intendono strutturare un’alleanza militare più reattiva, strutturata, con le rispettive forze militari interoperabili.
Un aspetto non di poco conto considerando che storicamente i laburisti neozelandesi hanno tergiversato verso questo tipo di relazione, ma che, trovandosi davanti al pericolo cinese, hanno cambiato approccio, andando verso una stretta cooperazione nel settore difensivo, come già pubblicamente annunciato a giugno in occasione dell’incontro a Washington tra il Presidente e la Prima Ministra.
La stessa Ardern si è mossa tramite altri canali e su temi diversi per andare a frenare il ruolo di Pechino nel Pacifico. Lo ha fatto proponendo un piano da 24.3 milioni di dollari dedicato totalmente a Samoa e finalizzato al contrasto verso il cambiamento climatico. Il progetto per Samoa non è casuale, visto che la nazione, composta da un arcipelago di isole, è tra quelle che recentemente, nel corso del tour negli Stati del Pacifico del Ministro degli Esteri del Partito comunista cinese Wang Yi, hanno sottoscritto con la Cina un accordo bilaterale, del quale non si conoscono i dettagli ma che tocca questioni legate a climate change, pandemia, pace e sicurezza. Non solo: Pechino proseguirà nell’offrire supporto allo sviluppo infrastrutturale samoano.
Il tema della sicurezza è quello che incute maggiore timore all’alleanza occidentale, in particolar modo alla luce del deal sottoscritto tra la Cina e le Isole Salomone. Per cercare una strada alternativa con Samoa, Ardern ha messo sul piatto una somma importante finalizzata allo sviluppo della resilienza dell’arcipelago per mitigare l’impatto del cambiamento climatico, proponendo la transizione verso un’economia a ridotte emissioni inquinanti. La globalizzazione delle problematiche trova pienamente sfogo nell’area dell’Indo-Pacifico, un contesto estremamente intrecciato, composto da stretti nodi che solo il lavoro diplomatico è in grado di sciogliere. Ma negli ultimi tempi, sembra sempre più complicato.
La stampa internazionale si è focalizzata negli ultimi due giorni sulla visita lampo a Taiwan della speaker Nancy Pelosi. Un viaggio in Asia con numerose tappe per la rappresentante statunitense, con lo sbarco a Taipei annunciato diverse settimane fa, rimandato e poi avvenuto tra martedì e mercoledì. L’isola al largo della Cina rimane centro focale degli interessi geostrategici non solo di Pechino ma di molteplici altri attori globali, con la regione dell’Indo-Pacifico sempre più contesa a suon di accordi e tentativi di alleanze.
Se Formosa può essere vista come l’apice delle diatribe in svolgimento nell’ampia area pacifica, non sono di poco conto le mosse attuate dai vari Governi negli ultimi anni, che proseguono incessantemente persino nella stessa settimana nella quale Pelosi si è recata sull’isola. Infatti, da registrare alcuni avvenimenti meno mediatici e più di nicchia, ma dal grande valore concreto e simbolico, che vanno annoverati nel quadro del confronto tra Cina e Stati Uniti, e rispettivi alleati.