La Casa Bianca segnala la vulnerabilità della supply chain americana. Servono incentivi alle imprese per riorientare le filiere industriali legate all’energia e ai metalli rari
“Le nostre vite sempre di più dipendono dai magneti e soprattutto da speciali ingredienti al loro interno che li rendono così potenti ed efficienti: le terre rare”. In questo breve estratto, tratto dal video di presentazione dell’azienda californiana MP Materials da parte di James Litinsky (CEO), si comprende l’importanza economica e tecnologica di questi elementi. Mentre una serie di circostanze – il consolidamento dell’industria delle terre rare della Repubblica popolare cinese e la duplice transizione energetica e digitale – le qualifica ormai come “materiali critici e strategici” per la base industriale degli Stati Uniti. Una definizione che identifica il rischio lungo l’intera supply chain.
Solo il mercato delle turbine eoliche richiederà un aumento del 30% nel consumo di magneti di terre rare, utilizzati inoltre in quasi tutti i motori dei veicoli ibridi ed elettrici. E secondo le ultime stime dell’International Energy Agency, la domanda globale di terre rare entro il 2040 eccederà di dieci volte l’offerta attuale. Molto più ristretto – ma non meno significativo – è il consumo dell’industria della Difesa americana e, dalle stime ancora incerte, quello dell’elettronica avanzata e commerciale. La Cina è responsabile del 58% dell’output globale, controlla il 90% della capacità di raffinazione e circa l’85% della manifattura di leghe metalliche e magneti. Gli Stati Uniti, secondo lo USGS (United States Geological Survey), sono dipendenti da Pechino in volume per l’80% delle forniture e nel 2020 hanno importato composti di terre rare per un valore di $170 milioni di dollari – con il 75% della domanda proveniente dal settore petrolchimico.
Ma con l’incedere della transizione green-tech, la domanda al 2030 sarà sempre più trainata dagli ossidi di terre rare (REO) “magnetici”: neodimio, praseodimio, disprosio e in misura minore terbio. Ingredienti essenziali, allo stato dell’arte tecnologico, per la manifattura dei magneti permanenti (i più efficienti sul mercato dal momento che garantiscono il campo magnetico più forte per unità di volume), e che contano per il 92% del valore complessivo sulla domanda globale di REO. Gli ossidi di neodimio e disprosio si vendono intorno ai $360 e $73 dollari al chilo (+94% e +106% circa rispetto al 2017), con le stime di Roskill che proiettano il primo a $60.000/t entro il 2030.
L’obiettivo del decoupling dalla Cina non è esente da rischi e difficoltà strutturali. La crescente integrazione verticale dell’industria cinese − sotto gli auspici del piano Made in China 2025, dei progetti di decarbonizzazione al 2060 e mossa dalla volontà di svincolarsi dalla tecnologia occidentale preservando le risorse domestiche con l’introduzione dell’Export Control Law − combinata allo shock lungo le catene di approvvigionamento rende questa supply chain particolarmente esposta, soprattutto per l’interdipendenza commerciale e tecnologica con Pechino. Lo dimostra un recente studio degli scienziati dell’Argonne National Laboratory, supportati dalla Defense Logistics Agency. L’analisi prende in considerazione le scelte e l’interazione degli stakeholders (miniere, aziende, consumatori, policymakers) basate sulle fluttuazioni dei prezzi, sulla capacità di estrazione e produzione lungo la catena del valore.
I risultati mostrano come in due scenari – un blocco delle esportazioni di un anno e uno shutdown di due anni della compagnia mineraria australiana Lynas Corporation (la più grande produttrice fuori dalla Cina) – il rialzo esponenziale dei prezzi, in particolare per Nd, Dy e Pr, avrebbe effetti a lungo termine sulla tenuta finanziaria dei progetti fuori dalla RPC e sulla diversificazione del mercato per i magneti. Il vero “single-point of failure in the value chain”. Gli Usa consumano circa il 20% di un mercato globale da $20 miliardi di dollari. In questo settore l’amministrazione Trump e Biden si collocano in netta continuità. Più che lo squilibrio della bilancia commerciale preoccupano le ricadute sulla sicurezza nazionale per un asset che trova applicazione in settori civili emergenti e nell’industria della Difesa. Sono tre le iniziative principali messe in atto e inquadrate nel solco degli Executive Orders firmati tra il 2017 e il 2021.
La prima: il reshoring dell’intera filiera industriale (mine-to-magnet) attraverso partnership pubblico-private. Non è casuale che il maggior investitore sia stato proprio il DoD (US Departments of Defense): a Novembre 2020, avvalendosi del Titolo III del Defense Production Act, il Pentagono ha investito $9.6 milioni di dollari in MP per supportare il secondo stadio del suo business plan, ovvero la processazione di NdPr (input cruciale per la produzione di magneti a cui l’azienda californiana punta entro il 2025), dal momento che la maggior parte dell’output del sito di Mountain Pass viene inviato alla cinese Shenghe Resources per ripagare l’offtake agreement siglato insieme ad un consorzio finanziario nel 2017. Il Texas è un potenziale distretto. Il Pentagono ha concesso all’australiana Lynas un finanziamento da $30.4 milioni di dollari per costruire un impianto di separazione nel sito di Hondo e $29 milioni all’azienda Urban Mining per il riciclo di magneti. La rivale texana Usa Rare Earth è in fase di valutazione per il sito di Round Top, che è stimato possa produrre 20.000 t di REO con ottime concentrazioni di Nd e Pr e terre rare pesanti.
Il Dipartimento dell’Energia (DoE) sta inoltre garantendo supporto finanziario per progetti che recuperino terre rare da depositi di carbone dismessi, mentre lo US Army Research Laboratory ha finanziato lo sviluppo di una tecnologia di separazione in collaborazione con l’azienda canadese Innovation Metals Corporation. In generale, separare il minerale grezzo nei singoli ossidi rappresenta lo stadio della catena del valore a più alta intensità di capitale: una capacità che se ottimizzata con economie di scala può giustificare i costi operativi di un sito minerario e supportare così attività downstream come la manifattura di leghe e dunque magneti. Sono inoltre in discussione proposte di legge – ORE Act e RARE Act – per incentivi fiscali volti a supportare progetti pilota per ulteriori siti estrattivi su tutto il territorio americano.
E qui si aggancia la necessità di diversificare le forniture. Canada e Australia (si è detto di Lynas) sono parte attiva della National Technology and Industrial Base (NTIB) e, pertanto, godono di un rapporto privilegiato che intreccia interessi commerciali e di sicurezza. Sono membri attivi dell’Energy Resource Governance Initiative lanciata dal Dipartimento di Stato nel 2019 e giganti del settore minerario – con lo stato canadese che già produce 13 dei 35 minerali identificati dal Dipartimento degli Interni americano come “critici” e che vede in Washington un partner commerciale consolidato ($76 miliardi di dollari). Usa e Canada hanno già stretto accordi per rafforzare la supply chain nordamericana. A marzo scorso, l’azienda canadese NEO Performance Materials e la statunitense Energy Fuels hanno annunciato un’iniziativa congiunta per l’integrazione dei rispettivi segmenti industriali: la seconda, specializzata nella lavorazione di uranio (elemento spesso associato ai giacimenti di terre rare) estrarrà il materiale grezzo nei depositi dello Utah per spedirli agli impianti di raffinazione di NEO in Estonia dove verranno prodotti singoli ossidi di Nd e Pr.
Infine, la politica commerciale. Il rapporto rilasciato dalla Casa Bianca sulle vulnerabilità e rischi delle supply chain strategiche americane ha evidenziato come il consumo domestico di $613 milioni di terre rare dia vita a un comparto industriale dal valore di $496 miliardi. Tuttavia, tra il 1992 e il 2020 con la globalizzazione del settore gli Usa hanno perso 4 stabilimenti di produzione di magneti e 3 di separazione di ossidi – oggi concentrati in Cina, che attualmente applica un rimborso del 13% sul valore aggiunto all’export di magneti: un vantaggio fiscale interno per la produzione di prodotti ad alto contenuto tecnologico e competitivo sul mercato globale. L’importazione di magneti come domanda diretta (il singolo prodotto) costituisce due-terzi del consumo della Difesa, mentre il settore civile li importa come domanda indiretta, ovvero come tecnologia all’interno di prodotti finiti.
Pertanto, la percezione del rischio e la natura della dipendenza duale rende necessaria una strategia di mitigazione con al centro il settore civile. E da qui nasce la proposta del Dipartimento del Commercio: avvalersi della Sezione 232 del Trade Expansion Act per applicare dazi sulle importazioni di magneti, nel caso costituissero una chiara minaccia alla sicurezza nazionale. Una possibile soluzione per incentivare le imprese americane ad entrare nei settori più downstream – aumentando la sicurezza della filiera con una capacità domestica – o, di converso, per forzare Pechino a rivedere la sua politica commerciale che non prevede rimborsi sull’esportazione delle terre rare da parte delle sue aziende. Si tratta di dazi selettivi che si aggiungono alle misure fiscali e di presidio tecno-commerciale previste dall’US Innovation and Competition Act, tra cui $16.9 miliardi al DoE per riorientare le filiere industriali legate all’energia e ai minerali critici – tra cui, appunto, le terre rare.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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La Casa Bianca segnala la vulnerabilità della supply chain americana. Servono incentivi alle imprese per riorientare le filiere industriali legate all’energia e ai metalli rari
“Le nostre vite sempre di più dipendono dai magneti e soprattutto da speciali ingredienti al loro interno che li rendono così potenti ed efficienti: le terre rare”. In questo breve estratto, tratto dal video di presentazione dell’azienda californiana MP Materials da parte di James Litinsky (CEO), si comprende l’importanza economica e tecnologica di questi elementi. Mentre una serie di circostanze – il consolidamento dell’industria delle terre rare della Repubblica popolare cinese e la duplice transizione energetica e digitale – le qualifica ormai come “materiali critici e strategici” per la base industriale degli Stati Uniti. Una definizione che identifica il rischio lungo l’intera supply chain.