L’amministrazione Biden ha approvato l’invio di soldati americani in Germania, Polonia e Romania per proteggere l’Europa da una possibile invasione della Russia. Ma gli Stati Uniti restano concentrati sull’Indo-Pacifico…
Mercoledì il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha approvato l’invio di circa tremila soldati americani in Germania, Polonia e Romania per aumentare il deterrente militare europeo nei confronti della Russia, che ha schierato oltre centomila truppe lungo il confine con l’Ucraina e creato preoccupazione per una possibile invasione.
Nello specifico, Washington sposterà dalla Germania alla Romania uno squadrone Stryker (fanteria meccanizzata) da un migliaio di elementi. In territorio tedesco arriveranno trecento unità da Fort Bragg, nella Carolina del Nord, mentre quello polacco ne riceverà (dalla stessa base) millesettecento: appartengono principalmente alla 82nd Airborne Division, specializzata in operazioni con paracadute.
Sembra una svolta, ma non lo è
La notizia è importante perché si tratta del primo, grande movimento di truppe ordinato da Biden in risposta alla crisi creata da Mosca. E poi perché smentisce una precedente dichiarazione del Presidente, che aveva detto che lo schieramento di forze in Europa orientale sarebbe avvenuto solo in caso di attacco russo all’Ucraina.
Ma non siamo davanti a una svolta: l’America non ha intenzione di andare alla guerra per Kiev perché il Paese non possiede per lei un valore strategico. E infatti è stato precisato che i soldati disposti tra Germania, Romania e Polonia – sotto il comando di Washington, non della Nato – non combatteranno in Ucraina. In caso (improbabile) di effettiva invasione le cose potrebbero cambiare, ma resta il fatto che gli Stati Uniti hanno da tempo “appaltato” il contenimento della Russia a Estonia, Lettonia e Lituania. Dettaglio significativo: l’America ha inviato armi ma non truppe nei paesi baltici proprio perché non ha interesse ad alzare la tensione con Mosca.
L’arma dei semiconduttori
L’invio di forze voluto da Biden è un segnale sia alla Nato, divisa nell’approccio alla Russia, che alla Russia stessa: gli Stati Uniti sono disposti a trattare per ritornare allo status quo pre-crisi, ma non vogliono lasciare campo libero al Cremlino. Non intendono fermarla con le armi, ma con le sanzioni. Ne hanno preparate di dure, che arrivano fino all’esclusione di Mosca dallo SWIFT, lo standard internazionale per i pagamenti finanziari.
Un’altra ritorsione forte, ma meno nota, riguarda i microchip. L’amministrazione Biden, cioè, sta minacciando di azzerare le forniture alla Russia di questi componenti critici per l’economia, impedendole di accedere non soltanto ai semiconduttori fabbricati negli Stati Uniti, ma anche a quelli realizzati in altre parti del mondo con macchinari o software americani. Non è chiaro se le restrizioni riguarderanno l’intero Paese o solo alcune aziende strategiche, come quelle che si occupano di intelligenza artificiale e di computing quantistico: in assenza di chip, lo sviluppo di queste tecnologie è impossibile e il danno per la competitività economica della Russia sarebbe grave.
Il focus non cambia
Nonostante la crisi in Ucraina, gli Stati Uniti non hanno spostato il loro focus, che era e rimane sull’Indo-Pacifico, la regione più importante per la sfida alla Cina, la vera rivale geopolitica. Lo ha detto a Reuters un anonimo funzionario dell’amministrazione, anticipando che Biden andrà in visita in Asia la prossima primavera, pare a maggio, e farà molte soste: una di queste in Giappone, per un vertice del Quad, e una forse in Corea del sud.
Nei piani, poi, c’è un incontro con l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) e una nuova iniziativa rivolte agli stati insulari del Pacifico focalizzata sulla resilienza climatica e le infrastrutture di trasporto. Washington cercherà infine il rinnovo degli accordi (scadranno nel 2023-2024) con le Isole Marshall, la Micronesia e Palau sulla facilitazione dell’accesso militare americano ai loro territori: la cornice istituzionale è il Trattato di libera associazione.
La “sorpresa strategica” è nel Pacifico
Kurt Campbell, coordinatore per l’Indo-Pacifico dell’amministrazione di Joe Biden, ha detto il mese scorso che questa regione potrebbe offrire una “sorpresa strategica” agli Stati Uniti e alla comunità internazionale per via della possibile intenzione della Cina di aprire qui delle basi militari (al momento ne ha solo una al mondo, a Gibuti). Campbell non ha elaborato la sua affermazione, ma forse si riferiva al piano di Kiribati – arcipelago dell’Oceania a sud-ovest delle Hawaii e storicamente allineato a Washington – per assegnare a Pechino un progetto di rinnovo infrastrutturale che non sembra tuttavia avere applicazioni militari.
L’amministrazione Biden ha approvato l’invio di soldati americani in Germania, Polonia e Romania per proteggere l’Europa da una possibile invasione della Russia. Ma gli Stati Uniti restano concentrati sull’Indo-Pacifico…