L’avvicinamento tra Ankara e Erevan segna un fatto storico di straordinaria importanza e spunta l’arma della polemica ai rispettivi schieramenti
La ferita mai sanata del genocidio armeno non riconosciuto dalla Turchia né dalla maggioranza della comunità internazionale è ancora oggi, a distanza di un secolo dai tragici avvenimenti avvenuti a cavallo della fine dell’Impero Ottomano, motivo di discussione, questione sfruttata spesso e volentieri per scopi di politica interna ma anche a livello geopolitico. Ecco perché il processo di normalizzazione dei rapporti tra Ankara e Erevan è una buona notizia per tutti, un fatto che spunta l’arma della polemica ai rispettivi schieramenti e inserisce nella contemporaneità le relazioni tra le due capitali.
La Turchia sostanzialmente riconosce la morte di circa 350mila persone nel corso di combattimenti avvenuti con le forze ottomane, mentre per l’Armenia e altri 33 Paesi che avvallano i fatti storici sul genocidio i numeri arrivano a 1 milione e 500mila esseri umani uccisi dall’esercito imperiale, con supporto degli alleati nella Prima guerra mondiale. Una discrepanza sostanziale, che pone costantemente in rotta di collisione Turchia e Armenia, nonostante i ripetuti tentativi di chiarimento avvenuti nel corso degli anni.
La situazione sembra essersi nuovamente sbloccata grazie alla volontà dei rispettivi leader, Recep Tayyip Erdoğan e Nikol Pashinyan, che nei mesi scorsi hanno avanzato ipotesi di apertura alla risoluzione di una serie di questioni che bloccano le relazioni tra le nazioni, partendo dalla nomina a dicembre di rispettivi inviati speciali. E grazie ai talks avvenuti recentemente a Vienna, si è direttamente arrivati a una storica telefonata tra Erdoğan e Pashinyan, i quali hanno enfatizzato l’importanza del processo di normalizzazione che, come si legge nella nota congiunta rilasciata dagli entourage, contribuirebbe alla pace e alla stabilità della regione.
Un passaggio che si può sicuramente apprezzare, perché è vero che la normalizzazione tra Ankara e Erevan aiuterebbe a migliorare la gestione dell’incandescente situazione nel Nagorno Karabakh, ma anche ad evitare le polemiche che saltuariamente avvengono nei dibattiti di politica interna di numerose nazioni. Su tutte, gli Stati Uniti, dove si registrano ciclicamente accuse provenire dall’opposizione al Presidente in quel momento in carica, mai abbastanza duro nel riconoscere le colpe ottomane, che vanno oggi in capo alla Turchia.
Evidentemente, questo tipo di polemiche sono finalizzate a mettere in difficoltà il Governo di Washington nei confronti dell’alleato turco, con tutte le problematiche del caso. Come abbiamo riscontrato negli ultimi mesi di forte tensione internazionale in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Turchia gioca un ruolo fondamentale nella geopolitica regionale e internazionale, rendendo Ankara un partner strategico sia per gli Usa che direttamente per la Nato. Ecco perché l’aperto riconoscimento del genocidio mette in difficoltà i capi di Stato e di Governo di qualunque nazione alleata di Ankara, che dovrebbero poi farsi carico degli strascichi di carattere economico e militare di una simile posizione.
Negli accordi presi dai diplomatici turchi e armeni a Vienna il primo luglio, si è deciso di riaprire la zona di confine tra le due nazioni ai visitatori provenienti da Paesi terzi, così come di potenziare i collegamenti aerei per voli cargo tra gli aeroporti delle due nazioni, ripristinati da febbraio 2022. Il primo volo è stato operato dalla compagnia low cost moldava FlyOne, che ha viaggiato da Erevan a Istanbul. Un altro volo della Pegasus Airlines partì dall’aeroporto asiatico di Istanbul, il Sabiha Gökçen, per la capitale armena.
L’avvicinamento tra Ankara e Erevan segna un fatto storico di straordinaria importanza e spunta l’arma della polemica ai rispettivi schieramenti