Erdogan ha annunciato che la Turchia bloccherà i commerci con Israele, in solidarietà con il popolo palestinese e per spingere lo stato ebraico ad accettare il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Un danno per l’economia turca che vale circa 7 miliardi di dollari
Si è spostato anche sul piano economico il dissidio tra Turchia e Israele che va avanti da anni ma che, dopo il massacro del 7 ottobre e la conseguente azione militare israeliana a Gaza, si è acutizzato. Il presidente turco Erdogan, infatti, ha annunciato che il paese bloccherà tutti i commerci con Israele, in solidarietà con il popolo palestinese e per spingere, motiva, lo stato ebraico ad accettare il cessate il fuoco nella Striscia.
Un danno non da poco per l’economia turca, visto che viene considerato in circa 7 miliardi di dollari il valore delle relazioni commerciali con Israele. E non tutti sono d’accordo. Per il presidente degli esportatori turchi, Mustafa Gutelpe, il paese probabilmente rivedrà il suo obiettivo di esportazioni di fine anno da 267 miliardi di dollari a 260 miliardi di dollari se la questione commerciale con Israele non verrà risolta entro un paio di mesi.
Gli esportatori riferiscono ad Al Jazeera che non sarà affatto facile riuscire a compensare le perdite attraverso l’incremento di altri mercati. Israele è stato il 13° mercato di esportazione più grande per la Turchia nel 2023, ricevendo lo scorso anno il 2,1% delle esportazioni turche. Lo scorso anno Ankara è stata la quinta partner commerciale per le importazioni di Gerusalemme, come rivelano i dati dell’ufficio di statistica israeliano.
Alla decisione turca hanno ovviamente risposto gli israeliani che, tramite il Ministro del Commercio e quello degli Esteri, hanno annunciato proteste e ricorsi in sedi internazionali, a partire dall’Oecd o Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Le relazioni turche con Israele hanno avuto alti e bassi. Sono state ristabilite ad agosto del 2022 dopo un decennio di tensioni nate non solo sulla questione palestinese, ma dopo che nel 2008 ci fu l’assalto dei militari israeliani alla Mavi Marmara, una nave di attivisti che cercava di forzare il blocco di Gaza, durante il quale morirono dieci turchi. Si arrivò al ritiro degli ambasciatori nel 2010.
Le relazioni sono riprese sia perché Netanyahu non era più al potere, sia perché i due paesi condividono forti interessi economici in comune, a cominciare dai giacimenti di gas dinanzi alle loro coste nel Mediterraneo.
La guerra a Gaza ha però di nuovo creato una frattura tra i due.
A luglio dell’anno scorso Erdogan riunì ad Ankara, in un raro incontro, Ismail Haniyeh e il presidente palestinese Abu Mazen, in un tentativo di riappacificazione, che lo ha accreditato ancora di più come amico del popolo palestinese. In quel periodo era stato fissato anche un incontro con Netanyahu, ma il premier si dovette sottoporre ad un intervento chirurgico e rimandò. Incontro che non è mai avvenuto.
Il 20 aprile scorso, invece, a Istanbul il presidente turco ha ospitato il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. In Turchia, il gruppo che controlla Gaza ha già una sede dal 2011, vi sono ospitati diversi suoi leader ai quali Erdogan ha anche concesso il passaporto turco.
Hamas sta subendo la pressione del Qatar, che ospita il suo ufficio politico, ad accettare l’accordo con Israele, qualcuno dice dietro minaccia di espulsione. Dopotutto, a fare pressioni su Doha, sono gli americani che nella città dell’emirato hanno la più grande base militare dell’area.
Erdogan ha proposto quindi ad Hamas di trasferirsi in Turchia e il capo politico del gruppo di Gaza, tornato solo dopo due settimane a Gaza, si starebbe lasciando convincere, anche se altri esponenti di Hamas hanno detto che si trasferirebbero in Giordania.
Negli incontri con Haniyeh, Erdogan si è accreditato come strenue difensore dei palestinesi, accusando Israele di tutte le nefandezze, paragonando Netanyahu a Hitler.
“Lotterò per la causa palestinese e sarò la voce del popolo palestinese oppresso anche se sarò lasciato solo”, paragonando Hamas ai combattenti che cento anni fa liberarono il paese dalle potenze straniere, facendo nascere la Turchia.
Non è mistero che a Erdogan, nel suo processo di islamizzazione, non dispiacerebbe il controllo del terzo luogo più sacro dell’Islam, la Spianata delle Moschee e rinverdire così i fasti dell’Impero Ottomano che a Gerusalemme ha regnato per quattro secoli.
Si è spostato anche sul piano economico il dissidio tra Turchia e Israele che va avanti da anni ma che, dopo il massacro del 7 ottobre e la conseguente azione militare israeliana a Gaza, si è acutizzato. Il presidente turco Erdogan, infatti, ha annunciato che il paese bloccherà tutti i commerci con Israele, in solidarietà con il popolo palestinese e per spingere, motiva, lo stato ebraico ad accettare il cessate il fuoco nella Striscia.
Un danno non da poco per l’economia turca, visto che viene considerato in circa 7 miliardi di dollari il valore delle relazioni commerciali con Israele. E non tutti sono d’accordo. Per il presidente degli esportatori turchi, Mustafa Gutelpe, il paese probabilmente rivedrà il suo obiettivo di esportazioni di fine anno da 267 miliardi di dollari a 260 miliardi di dollari se la questione commerciale con Israele non verrà risolta entro un paio di mesi.
Gli esportatori riferiscono ad Al Jazeera che non sarà affatto facile riuscire a compensare le perdite attraverso l’incremento di altri mercati. Israele è stato il 13° mercato di esportazione più grande per la Turchia nel 2023, ricevendo lo scorso anno il 2,1% delle esportazioni turche. Lo scorso anno Ankara è stata la quinta partner commerciale per le importazioni di Gerusalemme, come rivelano i dati dell’ufficio di statistica israeliano.
Alla decisione turca hanno ovviamente risposto gli israeliani che, tramite il Ministro del Commercio e quello degli Esteri, hanno annunciato proteste e ricorsi in sedi internazionali, a partire dall’Oecd o Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Le relazioni turche con Israele hanno avuto alti e bassi. Sono state ristabilite ad agosto del 2022 dopo un decennio di tensioni nate non solo sulla questione palestinese, ma dopo che nel 2008 ci fu l’assalto dei militari israeliani alla Mavi Marmara, una nave di attivisti che cercava di forzare il blocco di Gaza, durante il quale morirono dieci turchi. Si arrivò al ritiro degli ambasciatori nel 2010.
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