Secondo un’inchiesta svedese e americana, Bilal Erdoğan avrebbe ricevuto fondi in cambio di autorizzazioni ad un’azienda automotive svedese. Ankara risponde accusando Reuters di disinformazione
Rischia di trasformarsi in affaire geopolitico di grande rilievo l’inchiesta preliminare in atto, condotta da Stati Uniti e Svezia, sulla presunta corruzione di Bilal Erdoğan, figlio del Presidente della Turchia. Non nuovo a problemi giudiziari — un filone, terminato nel 2017 con l’archiviazione, in Italia, delle accuse di riciclaggio, legato alla ‘tangentopoli del Bosforo’ del 2013 —, Bilal è accusato di aver lavorato per garantire una posizione di mercato dominante ad un’azienda svedese, affiliata di una società statunitense.
Le pressioni dell’azienda svedese
Parliamo della Dignita Systems AB, realtà che sviluppa e produce dispositivi per l’industria dell’automotive e per l’assistenza nella sicurezza stradale per le auto. Secondo gli inquirenti di Stati Uniti e Svezia, l’azienda avrebbe messo sul piatto milioni di dollari da versare nei conti di Bilal Erdoğan in cambio del passaggio di una normativa che avrebbe obbligato, per legge, l’installazione sulle automobili di un dispositivo capace di analizzare il tasso alcolemico del guidatore, impedendo l’accensione del motore in caso di valori superiori alla norma.
Lo scoop di Reuters
La notizia arriva direttamente dall’agenzia Reuters, che ha avuto la possibilità di accedere alle carte dell’inchiesta e che per prima ha diffuso informazioni dettagliate sulla vicenda. Secondo Reuters, non si sarebbe concretizzato il passaggio di denaro tra l’azienda e Bilal: Dignita Systems AB ha, infatti, abbandonato il progetto alla fine del 2022. Da quanto si apprende, il figlio del Presidente avrebbe potuto accedere ai fondi attraverso due istituzioni delle quali Bilal è membro del board, con le somme monetarie in arrivo da una shell company a sua volta protagonista degli introiti di denaro grazie ai pagamenti di Dignita. In cambio, l’azienda svedese avrebbe potuto vendere in esclusiva i suoi prodotti su suolo turco.
Come si sono mossi gli inquirenti in Svezia e negli Stati Uniti
Le indiscrezioni sullo schema sono arrivate sul tavolo del Dipartimento alla Giustizia Usa e quello svedese nel mese di aprile. Le due entità hanno messo in piedi un’inchiesta nominando rispettivamente un agente speciale e un ispettore: si starebbe valutando se formalizzare le accuse o meno. La questione diventa delicata perché negli States “una violazione del Foreign Corrupt Practices Act può figurarsi anche se non sono presenti passaggi di denaro”, come confermato da Scott Greytak di Transparency International U.S. “È sufficiente dimostrare l’esistenza di un accordo e un atto formale come l’apertura di un conto bancario sul quale sarebbero stati versati i fondi”.
Questione geopolitica
Non sarà passato inosservato al lettore che la vicenda è strettamente legata a nazioni che da un anno a questa parte mandano avanti trattative serrate per giungere ad una positiva conclusione sulla questione Nato. La Svezia non ha ancora ricevuto l’ok della Turchia all’ingresso nel Patto Atlantico nonostante il pressing degli alleati, Stati Uniti in primis. Non a caso, il Governo turco ha tirato in ballo la tempistica ravvicinata al vertice di Vilnius con la fuoriuscita della notizia legata a Bilal Erdoğan.
“Enfatizziamo chiaramente che queste notizie tendenziose provengono da lobby anti-turche e da attori pubblici che vogliono pressare la Turchia: ciò non comporterà cambiamenti nelle nostre posizioni”, ha affermato Fahrettin Altun, responsabile del Direttorato alla Comunicazione del Governo di Ankara. “Reuters non è neanche capace di confermare indipendentemente se il Presidente Erdoğan e il figlio Bilal erano a conoscenza dello schema o se siano realmente stati coinvolti. Condanniamo Reuters per aver trasmesso una notizia falsa, che dimostra ancora una volta quanto sia importante la lotta contro la disinformazione”.
Rischia di trasformarsi in affaire geopolitico di grande rilievo l’inchiesta preliminare in atto, condotta da Stati Uniti e Svezia, sulla presunta corruzione di Bilal Erdoğan, figlio del Presidente della Turchia. Non nuovo a problemi giudiziari — un filone, terminato nel 2017 con l’archiviazione, in Italia, delle accuse di riciclaggio, legato alla ‘tangentopoli del Bosforo’ del 2013 —, Bilal è accusato di aver lavorato per garantire una posizione di mercato dominante ad un’azienda svedese, affiliata di una società statunitense.