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Ue, l’evoluzione di Visegrád


A 31 anni dalla fondazione, oggi il fronte del V4 è spaccato a metà: Repubblica Ceca e Slovacchia si sono stancate di fare il gioco anti-Bruxelles di Ungheria e Polonia

In un’Europa a più velocità c’è chi corre più degli altri. In che direzione, però, è tutto da vedere. Appena un anno fa il Gruppo di Visegrád (V4), baluardo dell’integrazione euro-atlantica dei tre (poi quattro) Paesi dell’Europa centro-orientale all’indomani della disgregazione dell’ex blocco socialista, celebrava il trentennale dalla fondazione, ricordando le aspirazioni di allora – era il 15 febbraio 1991 − e le sfide di oggi. Non più coeso come un tempo, il blocco che mette insieme Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria sperimenta al suo interno notevoli forze centrifughe che potrebbero innescare una nuova metamorfosi politica nel cuore d’Europa. Dopo aver mutato pelle rispetto alle origini liberaldemocratiche ed essersi accreditato nel dibattito politico Ue degli ultimi anni come fortezza sovranista nel cuore del continente, il V4 è infatti semmai descritto, talvolta pure dagli stessi protagonisti, come un V2+2, a marcare la faglia che si è aperta al suo interno.

Il cambio di governo nella Repubblica Ceca che fu di Václav Havel – padre nobile, da leader cecoslovacco, dell’asse di Visegrád insieme al polacco Lech Wałesa e all’ungherese József Antall –, a cavallo fra 2021 e 2022 ha visto il passaggio dai populisti di Andrej Babiš, il magnate accusato di maxi-corruzione, ai moderati filo-Ue di Petr Fiala. Il Ministro degli Affari europei di Praga, Mikuláš Bek, in occasione della prima visita a Bruxelles nella nuova veste, si è fatto interprete del nuovo corso: “Il senso di una cooperazione dei V4 si è indebolito; ma il trend può sempre cambiare dopo le prossime elezioni” in Ungheria, quest’anno, e Polonia, il prossimo, visto che entrambe sono rimaste arroccate su posizioni anti-Ue e di sfida aperta alle istituzioni comunitarie sul capitolo stato di diritto.

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