La pandemia impone una riflessione profonda sul futuro della metropoli. Centinaia di migliaia di persone hanno lasciato la città durante i lockdown. Torneranno?
Scintillante ed eccentrica, audace e battagliera, riservata e inafferrabile, ma soprattutto aperta. “London is open”, Londra è aperta, è lo slogan della campagna per promuovere la città voluta dal sindaco Sadiq Khan dopo che il Regno Unito ha votato per l’uscita dall’Unione europea. Un modo per dire che la capitale britannica rimane cosmopolita e allettante, nonostante la Brexit, le politiche anti-immigrazione del governo e ora anche le restrizioni dovute alla pandemia.
Nata dall’unione della City of London e di Westminster, a lungo centri del potere finanziario e politico mondiale, Londra sta vivendo un momento di ridefinizione, certo non il primo della sua storia. “Come le maree del Tamigi, le fortune di Londra vanno e vengono nel corso dei secoli,” scrive un rapporto del Centre for London, un think tank nato dieci anni fa per discutere il futuro della città.
Lungo il Tamigi si trova il cuore pulsante della metropoli, per secoli uno dei porti più importanti del mondo e centro globale di affari, commerci e cultura. Oggi sul fiume si affacciano appartamenti di lusso con un passato di moli e banchine, porticcioli con barche abitate e gli uffici della City e del Canary Wharf, le due principali aree cresciute in maniera verticale.
Ultima aggiunta allo skyline londinese è lo Shard, il grattacielo piramidale con la cima a forma di vele che l’architetto italiano Renzo Piano ha progettato ispirandosi agli alberi delle navi e alle guglie delle chiese cittadine.
Non lontano, Soho e il West End, il quartiere dei divertimenti che fino a prima della pandemia non dormiva mai. Anche qui bar, ristoranti e locali notturni hanno visto scorrere storie di vita per secoli. Solo nel 2018 i 38 teatri del quartiere hanno accolto oltre 15 milioni di spettatori. E poi Piccadilly, Regent Street e le vie dei commerci, i grandi parchi e i giardini privati di cui solo i residenti custodiscono le chiavi, le strade aristocratiche attorno ai palazzi reali a ovest e i vicoli degli ex quartieri industriali a est, ora alla moda grazie ad artisti, mercatini, ristoranti etnici e il recupero post-olimpico.
Londra cambia continuamente e si fa conoscere poco per volta. Molte delle sue relazioni si coltivano ancora in club privati, ma anche nei pub e in attività di svago o di volontariato. È anche così che fiorisce la vita di comunità, punto di riferimento in una città che nel 2018 contava circa 9 milioni di abitanti.
Dagli anni Novanta la popolazione della capitale ha continuato a crescere e si prevede che entro il 2050 raggiunga i 12 milioni grazie a un’offerta di occupazione senza pari in servizi professionali e finanziari, startup tecnologiche, istruzione e industrie creative, dice uno studio del Centre for London. Servizi efficienti, una rete di trasporto capillare, un sistema snello per la creazione d’impresa, l’attrazione dell’immobiliare e politiche fiscali favorevoli da decenni attraggono investimenti da tutto il mondo e l’ambiente multiculturale fa sì che tutti possano sentirsi in qualche modo a casa.
La storia personale del sindaco dice molto sulla città. Avvocato di origini pakistane, figlio di un autista di autobus, primo musulmano a diventare primo cittadino di una capitale europea (Rotterdam ha però preceduto Londra con Ahmed Aboutaleb), il laburista Sadiq Khan è l’esempio che Londra premia determinazione, fatica e talento.
Quella del sindaco per elezione diretta, in realtà, è una carica istituita nel 2000, assieme all’assemblea dell’area metropolitana, con cui forma la Greater London Authority. L’ufficio del sindaco garantisce la pianificazione strategica della città e governa trasporti, polizia, sviluppo economico e piani di emergenza in un’area che rappresenta il 14% della popolazione del Regno Unito e il 24% della sua economia.
Questa egemonia fa di Londra una capitale rispettata ma poco amata dal resto del Paese. Il voto sulla Brexit ne è anche il risultato, mentre cresce la pressione per limitarne il centralismo, e quindi anche le risorse.
Non tutto è oro quel che luccica
Eppure in città non tutto è oro quel che luccica. Il Centre for London nota che per molti lavoratori gli stipendi sono rimasti bassi mentre i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare, le diseguaglianze sociali si sono ampliate (ci sono più persone in situazioni di povertà a Londra che in qualsiasi altra parte del Regno Unito), sicurezza, sanità e qualità dell’aria sono motivi di preoccupazione e la concorrenza di altre ‘città globali’ come New York, Parigi e Singapore avanza.
C’è poi la questione dei cambiamenti climatici. Nonostante gli stereotipi sul meteo, Londra è soggetta sia a inondazioni sia a siccità ed entro il 2050 potrebbe avere un deficit giornaliero di 520 milioni di litri d’acqua. Le paratie sul Tamigi, costruite a est di Greenwich, sono state finora in grado di regolare il livello del fiume e proteggere il centro cittadino, ma l’innalzamento dei mari rappresenta comunque un pericolo. Davanti a questa urgenza il comune ha adottato una serie di programmi per ridurre a zero le emissioni di diossido di carbonio entro il 2050.
Ora la pandemia ha forzato una riflessione profonda sul futuro della metropoli. Si stima che centinaia di migliaia di persone abbiano lasciato la città durante i lockdown: britannici in cerca di spazio, verde e una vita più economica, ed europei rientrati in patria dopo essersi trovati senza lavoro davanti all’ostilità della Brexit. Non si sa se e quanti ritorneranno.
Che cosa ne sarà allora dei quartieri di uffici ora che si può lavorare da casa? Quanti negozi e teatri sopravvivranno al Covid? Da dove arriverà lo staff di ristoranti e bar ora che i giovani europei devono chiedere un visto e avere un reddito garantito prima di potersi trasferire? Come riprendere le attività economiche senza ritornare ai livelli d’inquinamento del passato? E soprattutto, come garantire una città più equa e accessibile a tutti?
Sono questi alcuni dei temi su cui Londra s’interroga. Dopo la prima ondata di contagi da Covid-19, il sindaco Khan ha annunciato uno studio per capire i trend che influenzeranno l’economia e la cultura delle aree centrali.
Il London Recovery Board, il comitato municipale che guiderà la ripresa, punta su otto “missioni”: lotta ai cambiamenti climatici ed economia verde, costituzione di una rete di supporto per aiutare i cittadini a superare le difficoltà finanziarie, nuove destinazioni per edifici sottoutilizzati, occupazione di qualità, attività e mentoring per i giovani, salute mentale e benessere, cibo sano, connettività e competenze digitali per tutti.
Del futuro della capitale si sta occupando anche il Centre for London con London Futures, un progetto che mira a creare una visione condivisa della città per il 2050. Alla consultazione, i cui risultati saranno pubblicati in autunno, sono stati invitati londinesi, imprese, autorità pubbliche e organizzazioni della società civile.
“Per gli esperti le questioni principali sono la sostenibilità, le disuguaglianze e l’economia. I londinesi chiedono invece che gli eventi della pandemia non si ripetano, sicurezza per le strade, abitazioni economicamente accessibili – un tema ancor più sentito del cambiamento climatico – meno inquinamento, soluzioni per il problema dei senzatetto,” ha riportato Rob Whitehead, direttore dei progetti strategici dell’organizzazione.
“La pandemia ci ha costretti a scomporre l’identità di Londra. Abbiamo chiesto che cosa definisce la città ed è emerso che parte della sua essenza consiste nel lavorare in un ufficio e spostarsi con la metro. Ma con le persone che lavorano da casa ed evitano i trasporti pubblici, che cosa rimane?” dice Whitehead del progetto.
“La risposta è che Londra è relazione, i rapporti umani sono il motore della città. Le reti sociali sono alla base di commerci, industria, divertimento, e questo rimarrà anche se il lavoro ibrido diventerà la norma,” continua Whitehead. “Una volta capito questo concetto, potremo potenziarlo e farne la risposta per tutto il resto. Connessione e prendersi cura l’uno dell’altro potranno così essere la base della ripartenza.”
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Scintillante ed eccentrica, audace e battagliera, riservata e inafferrabile, ma soprattutto aperta. “London is open”, Londra è aperta, è lo slogan della campagna per promuovere la città voluta dal sindaco Sadiq Khan dopo che il Regno Unito ha votato per l’uscita dall’Unione europea. Un modo per dire che la capitale britannica rimane cosmopolita e allettante, nonostante la Brexit, le politiche anti-immigrazione del governo e ora anche le restrizioni dovute alla pandemia.