Ripetutamente ignorati nella spartizione di terre e potere, i Curdi sono rimasti protagonisti dei giochi politici in Medio Oriente, a fianco dell’Occidente.
L’identità del popolo curdo nasce innanzitutto intorno a una lingua e a uno stile di vita, il nomadismo. Figli dell’articolato paesaggio montuoso che partendo dal Caucaso si articola nei Tauri dell’Anatolia per proseguire verso oriente con la lunga e aspra catena degli Zagros, i Curdi parlano una lingua del gruppo iranico nord-occidentale, lo stesso a cui appartennero le parlate degli antichi Medi e poi dei Parti, irriducibili rivali di Roma. Una lingua che come spesso accade nelle aree montane si divide in parlate diverse, ognuna propria di una specifica regione. L’orografia ha similmente determinato la sopravvivenza di antiche credenze, tali son quelle della fede sincretistica degli Yazīdī, nonché di molte e diverse confraternite sufi riconducibili alla Qādiriyya o alla Naqšbandiyya, nonché di gruppi eterodossi quali gli Al-i Ḥaqq. Un territorio che i Curdi hanno condiviso con Turchi e Persiani, parte di quell’ecumene settentrionale dell’Islam che lasciò la sua impronta sino all’Asia Centrale e oltre ancora. Un mondo dove armeni, assiri e caldei, eredi di antiche comunità cristiane, hanno vissuto accanto ai Curdi e ad altri musulmani in un intreccio che a volte si fece tragedia. Ancor oggi chi voglia soffermarsi a comparare le carte del grande Kurdistan e della grande Armenia vedrà un esteso sovrapporsi di territori che entrambe le comunità vogliono chiamare patria.
Oggi i Curdi sono il più grande popolo del Medio Oriente senza una patria, non abbiamo certezze sui numeri, ma non si è molto lontani dal vero se si pensa a quaranta milioni d’individui divisi tra i vari stati che ospitano la comunità. Eppure l’identità curda, intesa in senso di appartenenza a una nazione nasce, come molti altri movimenti nazionali, solo nell’Ottocento e giunge a maturazione solo con gli eventi del primo Novecento che portarono alla fine dell’Impero Ottomano. Uno dei più famosi sultani mediorientali, l’ayyubbide Ṣalāh ad-Dīn, liberatore di Gerusalemme, prototipo del feroce Saladino delle nostre letture giovanili, fu di certo Curdo per nascita, ma si sentì sempre il capo di un vasto regno la cui lingua comune era l’arabo e la cui fede era l’Islam.
Le tensioni che hanno attraversato la regione negli anni della Prima Guerra Mondiale, la dissoluzione dell’Impero Ottomano e l’ascesa dei Giovani Turchi hanno impresso un’accelerazione alla nascita di una coscienza nazionale curda, così com’è avvenuto per altri popoli della regione. La richiesta d’indipendenza fu in via di principio accettata dalle potenze europee nel 1919 a Parigi e confermata dal trattato di Sèvres firmato il 10 agosto del 1920. Questo parziale e presto obliato successo fu dovuto alla perseveranza di Šarīf Paša, nominato l’anno prima rappresentante a Parigi, che nel marzo del 1920 presentò due memorie con le quali spiegava e motivava la richiesta di una patria per i Curdi. Una posizione concordata con i rappresentanti armeni, che come i loro vicini puntavano alla creazione di uno stato indipendente nei territori dell’ex Impero Ottomano. Questo trattato, firmato con i rappresentanti della Sublime Porta, ormai ridotta a simulacro di se stessa ed estremamente penalizzante per la Turchia, prevedeva infatti la creazione di un Kurdistan indipendente, così come l’Anatolia nord-orientale sarebbe dovuta passare all’Armenia. Il testo non fu mai accettato dai turchi guidati da Mustafa Kemal Atatürk che, alzata la bandiera del nazionalismo turco, condusse una vittoriosa guerra partendo proprio dall’Anatolia. La nuova situazione determinata dall’equilibrio delle forze sul terreno e dal sostanziale disinteresse delle potenze europee portò il 24 luglio 1923 alla firma del trattato di Losanna, che poneva fine alla sanguinosa guerra anatolica, dimenticando colpevolmente la questione curda. Nel 1925 il vilayet ottomano di Mosul fu definitivamente assegnato all’Iraq di Re Fayṣal. Da allora tanto nella Turchia orientale, quanto nell’Iraq settentrionale crebbe un forte movimento indipendentista, la cui azione fu meno efficace perché diviso in troppi partiti rivali.
Nonostante la grave ferita inferta dal Trattato di Losanna alle velleità nazionaliste dei Curdi, questa etnia, in virtù della forza dei numeri e di un’ormai consolidata coscienza nazionale rimase protagonista dei giochi politici nell’area mediorientale. Posta fine alla dinastia Qājār, nella prima metà del XX secolo la carismatica figura di Reẓā Pahlavi cercò di dare solidità all’Iran, limitando l’ingerenza delle grandi potenze dell’epoca. Non poté, tuttavia, mettere fine al protettorato di fatto che gli Inglesi esercitavano sul sud e i Russi sul nord del Paese. Terminata la Seconda Guerra Mondiale al fine di mantenere la sua influenza, l’USSR appoggiò la nascita di due staterelli nella parte occidentale dell’Iran: la Repubblica popolare dell’Azerbaijan e la Repubblica curda di Mahābād, proclamata ufficialmente il 22 gennaio del 1946 su impulso di Qāzi Muḥammad. Un altro dei grandi protagonisti del movimento nazionalista curdo, Muṣṭafā Bārzānī, presto segretario del PDK, accorse per dare una mano agli insorti e fu nominato ministro della guerra e capo dell’esercito. Come già accaduto a Losanna, i Curdi furono ben presto abbandonati dai loro alleati sovietici, che nel frattempo avevano raggiunto con Teheran un accordo sullo sfruttamento del petrolio del Mar Caspio; un anno dopo la breve avventura della Repubblica di Mahābād era già giunta al termine. Qāzi Muḥammad fu impiccato sulla pubblica piazza il 30 marzo del 1947 e ancora una volta le rivendicazioni curde furono affogate nel sangue.
L’ultima parte della nostra storia, di necessità sintetica a costo di tralasciare episodi di non poca importanza, inizia nel 1991 con l’imposizione di una no-fly zone nel settentrione dell’Iraq, a nord del 36° parallelo. L’anno successivo si svolgono elezioni nel Kurdistan iracheno, elezioni vinte dai due grandi partiti storici della regione, il PDK (Partito Democratico del Kurdistan) di Masʿūd Barzānī e il PUK (Patriotic Union of Kurdistan, in italiano anche UPK: Unione patriotica del Kurdistan) di Jalāl Ṭālābānī. L’equilibrio tra questi due partiti e le doti di leadership dei due leader, che in seguito ricopriranno rispettivamente le cariche di Presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno e di Presidente della Repubblica d’Iraq, hanno consentito alla regione curda di guadagnare una sostanziale indipendenza, pur restando all’interno dello stato iracheno. Il progressivo indebolimento della leadership di Ṭālābānī, dovuto alla sua malattia e al sorgere del partito rivale Gorrān, fondato da Nūšīrvān Mustafā, già tra i fondatori del PUK, nella regione di Sulaimaniya, tradizionale roccaforte del PUK e il grave errore commesso da Masʿud Barzānī convocando il 25 settembre 2017 un referendum sull’indipendenza della regione governata dal KRG (Kurdish Regional Government), hanno messo a grave rischio l’esistenza stessa di una regione autonoma all’interno di un Iraq federale. Più del 90% dei votanti si sono espressi a favore dell’indipendenza, ma questo ha condotto solo ad anno di terribile isolamento nel corso del quale i Curdi si sono sentiti ancora una volta traditi dai loro alleati.
Oggi fortunatamente la situazione sembra essere tornata alla normalità, consentendo al governo di Arbil di riprendere il percorso verso la modernizzazione della regione. Quanto è successo ha tuttavia mostrato che non vi può essere, almeno nel prossimo futuro, un Kurdistan indipendente, ma che forse è possibile un percorso di maggior riconoscimento dell’etnia curda da parte degli stati dove essa è presente. Tradizionalmente meglio integrati in Iran che da altre parti, i Curdi hanno ottenuto di recente una significativa vittoria in questa direzione. La Repubblica Islamica ha infatti consentito l’insegnamento di alcune materie in lingua curda all’Università di Sanandaj, capitale dell’Ostān (regione) del Kurdistan iraniano. In Iraq la regione curda gode di una vasta autonomia, e segnali in questa direzione si vedono anche in Siria. Per un periodo, pur breve, lo stesso Erdogan sembrò propenso a un dialogo con la comunità curda di Turchia. Pur irta di difficoltà, questa è la strada che l’Europa dovrebbe sostenere come possibile soluzione per il Kurdistan.
Ripetutamente ignorati nella spartizione di terre e potere, i Curdi sono rimasti protagonisti dei giochi politici in Medio Oriente, a fianco dell’Occidente.