Le relazioni tra Israele e Usa hanno raggiunto uno dei livelli più bassi della loro storia. Gli Usa hanno una posizione altalenante sulla guerra di Gaza, complici anche le elezioni presidenziali di novembre. Con un occhio all’elettorato musulmano americano, Biden pratica la politica della “via di mezzo”.
I rapporti tra i due amici di sempre, Stati Uniti e Israele, sono forse, in questi giorni, arrivati ai minimi storici. L’ultima goccia verso l’ulteriore deterioramento della situazione, solo in ordine di tempo, è stata la decisione di Washington di non porre il veto, limitandosi ad astenersi, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza. Risoluzione che è riuscita ad essere approvata grazie all’astensione americana.
La posizione americana ha tuttavia destato le ire di Israele e in particolare del suo primo ministro, Benjamin Netanyahu, che probabilmente per dare ai suoi alleati e amici storici americani un segnale inequivocabile ha subito deciso di annullare un viaggio negli Usa che avrebbe dovuto essere compiuto da alcuni alti funzionari israeliani per discutere del piano israeliano di attaccare Rafah. Secondo Israele, la decisione americana costituisce un preciso e drastico cambio di rotta e soprattutto danneggia il tentativo di liberare gli ostaggi perché potrebbe dare ad Hamas la speranza che alla fine ci potrà essere un cessate il fuoco anche senza la liberazione degli ostaggi.
In realtà gli Stati Uniti hanno cercato, se non di difendersi, almeno di giustificarsi. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano, John Kirby, ha fatto sapere che gli Stati Uniti non hanno votato a favore della risoluzione perché il testo della Risoluzione non conteneva alcuna precisa condanna nei confronti di Hamas. Cosa che in passato aveva spinto Washington a porre per ben tre volte il veto, a differenza dell’ultima volta.
Vero è che, come detto, questo ultimo atto è stata solo la ciliegina sulla torta di una situazione già in parte compromessa. Biden, forse anche spinto da una campagna elettorale in corso dagli esiti ancora molto incerti e dalla necessità di non irritare l’opinione pubblica internazionale, ormai da settimane si oppone, più o meno fermamente, a Netanyahu.
Tante, troppe almeno per Israele, le divergenze. Sugli aiuti da fornire alla popolazione di Gaza, specie nella zona nord, ormai prossima ad una vera e propria carestia, sul piano per attaccare Rafah, a cui gli Usa si oppongono ritenendo che porterebbe a un massacro. Come pure sul futuro, estremamente incerto, di Gaza.
Eppure, nonostante gli strappi e nonostante alcuni analisti ritengano che le relazioni tra i due paesi non saranno più le stesse d’ora in avanti, sembra che l’intenzione sia sempre quella di ricucire, nei limiti del possibile, gli strappi. Il destino americano è ancora troppo incerto.
Biden spera, ma non ha la certezza, di essere riconfermato per un nuovo mandato. Nell’attesa di quello che sarà il suo destino politico, il presidente americano cerca di accontentare un po’ tutti, o almeno di non scontentare apertamente troppe persone. Ecco perché il suo sostegno a Israele si è affievolito, senza azzerarsi però.
Dopotutto, i segnali di allarme li ha ricevuti, soprattutto da uno stato come il Michigan. Qui è forte la presenza degli arabi, ed è stato fondamentale per gli equilibri politici americani, dove nel 2020 Biden vinse non di molto. Secondo gli exit poll dell’Associated Press, Biden ha vinto il 64% dei voti musulmani nel 2020 e Trump il 35%. Ma il sostegno a Biden tra gli elettori arabo-americani è crollato ad appena il 17% in ottobre, subito dopo l’inizio della guerra, con il 25% che, secondo un sondaggio condotto dall’Arab American Institute, afferma di non essere sicuro per chi avrebbe votato se le elezioni si fossero svolte in quel momento.
Una politica non troppo filo israeliana, ad oggi, potrebbe forse avvantaggiarlo almeno con certa parte dell’opinione pubblica di sinistra. D’altro canto opporsi drasticamente ad Israele (come ad esempio avrebbe potuto fare votando a favore della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza) lo metterebbe in cattiva luce con i moderati che sperano nella sconfitta di Hamas e “parteggiano” di più per Israele. E dunque prevale la politica della “via di mezzo”.
Non a caso, se da un lato Biden critica, dall’altro la sua amministrazione non fa mancare appoggio economico e militare. L’appoggio americano serve poi a Tel Aviv. Non si dimentichi che gli Stati Uniti forniscono ad Israele aiuti militari per quasi tre miliardi di euro all’anno. E così ora, nonostante le tensioni, sembra che il dialogo possa ripartire, sia pure lentamente e con cautela.
Si è appreso che Netanyahu ha accettato di riprogrammare il viaggio degli alti funzionari israeliani in America per parlare della operazione a Rafah, magari delle sue alternative, ma anche del rilascio degli ostaggi. Per Washington nulla è ancora perduto e un dialogo tra Israele ed Hamas sugli ostaggi “è ancora possibile anche se restano ancora questioni difficili da risolvere”.
Segnali di apertura e di amicizia anche da parte del presidente israeliano, Isaac Herzog, che ha detto a un gruppo di deputati democratici in visita che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è “un grande amico di Israele”. “Quando lo abbiamo ospitato qui meno di due anni fa, ho potuto vedere il suo amore, affetto ed emozione verso il popolo di Israele e lo Stato di Israele – ha detto il presidente Herzog – lui è un vero amico e lo rispetto molto per questo”.
Herzog ha anche aggiunto che il legame tra i due paesi è “essenziale per il benessere delle nostre nazioni, e dovremmo semplicemente concentrarci sul miglioramento e rafforzamento di questo legame”.
I rapporti tra i due amici di sempre, Stati Uniti e Israele, sono forse, in questi giorni, arrivati ai minimi storici. L’ultima goccia verso l’ulteriore deterioramento della situazione, solo in ordine di tempo, è stata la decisione di Washington di non porre il veto, limitandosi ad astenersi, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza. Risoluzione che è riuscita ad essere approvata grazie all’astensione americana.