Da un lato la Russia di Putin che punta alla ricostruzione dello spazio sovietico, dall’altro gli Stati Uniti che cercano di recuperare credibilità. L’Europa, ancora più divisa, rischia così di perdere i propri obiettivi comuni
Da un lato la Russia di Putin tesa per quanto possibile alla ricostituzione dello spazio sovietico giocando al limite− in un pericolosissimo esercizio di quella che gli anglosassoni denominano “brinkmanship” − le due migliori carte che le restano, vale a dire la riacquistata e spregiudicata potenza militare, nonché la coscienza di poter disporre, attraverso il gas, di una delle chiavi della prosperità dell’Occidente. Dall’altro lato invece c’è l’America, impegnata dopo gli allarmanti sussulti interni dell’anno delle elezioni presidenziali e soprattutto dopo il disastro afghano, in un difficilissimo recupero di credibilità dalla cui riuscita dipenderà probabilmente il futuro non soltanto del teatro atlantico, ma bensì di quello pacifico. Fra le due, nocciolina imprigionata nella pinza di uno schiaccianoci la cui pressione si fa di giorno in giorno più pesante e che ha assunto una dimensione tragica dopo l’invasione della Ucraina, vi è poi una Europa cui nemmeno un pericolo che si fa di giorno in giorno più reale riesce a dare il coraggio di superare le proprie divisioni convincendola che se vuole difendere i suoi interessi è solo su se stessa che essa può e deve contare.
Le debolezze della Nato
Almeno in teoria, comunque, la sicurezza di questa parte del continente dipenderebbe ancora − a tutt’oggi e per il prossimo avvenire − dal legame transatlantico, nonché dall’Organizzazione militare, la Nato, che di tale legame costituisce il braccio armato.
In questo momento però l’Alleanza, pur rappresentando l’argine che pone un preciso limite politico e geografico alle pretese di Putin, presenta ancora una serie di lacune e difetti che accentuano inevitabilmente la maggiore delle sue debolezze, vale a dire una membership divenuta troppo numerosa e che le rende disagevole, anche in condizioni di tensione molto gravi, conseguire il dovuto consenso politico e militare in tempi che si possano considerare operativi.
Da rimarcare poi come, dopo la sparizione dell’Unione Sovietica, la Nato non fosse riuscita a mantenersi al passo con i tempi e si fosse invece rassegnata ad accettare senza esitazioni, e quasi senza fremiti di rivolta, la volontà americana. Washington le ha così imposto Segretari Generali provenienti da piccoli Paesi e molto deboli, nonché un allargamento verso est tanto prematuro e in parte provocatorio da evidenziare in questo momento la sua estrema pericolosità. Anche grazie a questo l’Europa, che affronta ora una crisi il cui esito potrebbe rivelarsi fondamentale per il suo futuro, è in sostanza una Europa divisa in due. Essa allinea, infatti, da un lato quella che il Segretario Usa per la Difesa Rumsfeld definì un tempo quasi con disprezzo come la “vecchia Europa”, vale a dire una parte più cauta, più disposta al dialogo e riluttante ad accettare senza esitazioni un inasprimento oltre misura dei rapporti con la Russia.
Ad essa si contrappone per contro la cosiddetta “nuova Europa“, a tal punto terrorizzata dal neo sovietismo putiniano e dalle velleità di ritardata rivincita sull’Occidente che Mosca sta ora evidenziando da essere disposta a seguire gli Stati Uniti in ogni decisione.
Per il momento, nonostante il fatto che mentre si scrive Kiev appaia già destinata a cadere, le misure di ritorsione prospettate in ambito atlantico sono soltanto misure di carattere economico, pur se accompagnate da un sostegno all’Ucraina che con le forniture d’armi ha superato decisamente il limite diplomatico, nonché da un progressivo rafforzamento del dispositivo Nato più prossimo alle frontiere con la controparte russa. Decisioni sbagliate e incidenti che inneschino catene di eventi non voluti rimangono sempre possibili, ma quello che sembra trasparire dall’andamento attuale delle cose è come, da un lato, ci sia da sperare che Putin non sia disposto a spingersi oltre un limite superato il quale ci troveremmo tutti a dover affrontare una catastrofe maggiore, mentre, per contro, in ambito occidentale nessuno appare realmente disposto a “morire per Kiev”.
Sul tavolo rimangono quindi, almeno dalla nostra parte, soltanto lo sfoggio di dura volontà comune costituita dall’elevatissimo livello di allarme delle forze della nostra Alleanza, nonché l’ipotesi di radicali sanzioni economiche che colpirebbero soprattutto il settore delle forniture di energia all’Europa da parte di Mosca insieme a quello bancario. Si tratta però di una ipotesi che, ove si dovesse concretizzare nella forma più decisa fra quelle che vengono prospettate, rischierebbe di risultare − almeno nel settore petrolifero − più punitiva per noi europei che la adottiamo che per chi ne dovrebbe essere vittima. Il recente riavvicinamento fra Russia e Cina fa infatti ben comprendere quale altra direzione potrebbe prendere con gli anni il gas russo lasciato libero dal ridimensionamento o addirittura dall’interruzione delle forniture all’Europa.
La crisi energetica
Per noi, invece, la lacuna che si creerebbe negli approvvigionamenti continentali risulterebbe ben difficilmente colmabile anche facendo ricorso a quei rifornimenti di gas liquido che da tempo gli Stati Uniti dichiarano di essere in condizione di fornirci. A parte la difficoltà insita nel problema di riuscire in breve tempo ad adeguare il sistema di rigasificazione europeo, al momento nettamente insufficiente a far fronte al bisogno, vi è infatti anche da considerare come i vari costi connessi all’invio del combustibile americano in questo particolare momento di penuria di idrocarburi e prezzi particolarmente alti finirebbero col farcelo costare circa sei volte più di quello russo.
È un dato, quest’ultimo, che viene spesso omesso nelle analisi del problema anche perché, a ben riflettere, esso evidenzia come al di là del legame politico e militare transatlantico – che pure per fortuna continua a esistere e a rimanere solido – in questo specifico caso eventuali misure di blocco delle forniture di gas russo potrebbero porre, almeno sul piano dell’economia, Europa e America su due strade nettamente divergenti. Da un lato, vi saremmo noi che ci accolleremmo l’intero onere della misura, con grave danno fra l’altro di tutta la nostra industria che vedrebbe aumentare considerevolmente i suoi costi di produzione in quasi tutti i settori. Dall’altro, vi sarebbero invece gli Stati Uniti che ne ricaverebbero un vantaggio economico immediato non indifferente anche se all’inizio concentrato essenzialmente sulla loro industria petrolifera. In seguito però essi si troverebbero anche in condizione di poter capitalizzare l’inevitabile calo della competitività del nostro intero settore industriale.
Se il gioco continua su queste basi il rischio è che a conti fatti la crisi si concluda con un solo grande perdente, vale a dire l’Europa. Questo è comunque ciò che succede allorché si continua a cercare di affrontare come un disordinato e vociante branco di nani un mondo che sembra avviato a divenire proprietà esclusiva di giganti! La vera grande speranza rimasta è così soltanto quella che l’immanenza e la gravità del pericolo ci portino ad adottare, nel settore della politica estera e della sicurezza e in tempi tanto ristretti da risultare operativi, tutte quelle misure che sino ad ora avevamo esitato a prendere.
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Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Almeno in teoria, comunque, la sicurezza di questa parte del continente dipenderebbe ancora − a tutt’oggi e per il prossimo avvenire − dal legame transatlantico, nonché dall’Organizzazione militare, la Nato, che di tale legame costituisce il braccio armato.
In questo momento però l’Alleanza, pur rappresentando l’argine che pone un preciso limite politico e geografico alle pretese di Putin, presenta ancora una serie di lacune e difetti che accentuano inevitabilmente la maggiore delle sue debolezze, vale a dire una membership divenuta troppo numerosa e che le rende disagevole, anche in condizioni di tensione molto gravi, conseguire il dovuto consenso politico e militare in tempi che si possano considerare operativi.