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Covid: la nuova missione Oms


L’Oms deve essere meno dipendente dalle donazioni dei Paesi, meno impegnata in diplomazia ma più nella gestione delle emergenze

L’Oms deve essere meno dipendente dalle donazioni dei Paesi, meno impegnata in diplomazia ma più nella gestione delle emergenze

Quando il 28 gennaio, pochi giorni dopo il lockdown totale dell’area di Wuhan, epicentro dell’epidemia, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è volato a Pechino per incontrare il Presidente cinese Xi Jinping, qualcuno ha iniziato a sospettare che la passerella fosse più politica che una questione tecnico-scientifica. Di quello che la comunità internazionale chiamava ancora “nuovo coronavirus” la Cina sapeva già molto, ma non stava condividendo abbastanza con l’unica istituzione che avrebbe dovuto, in modo del tutto super partes, gestire tecnicamente la pandemia. Quando Tedros vola a Pechino già da una settimana il dottor Zhong Nanshan, uno dei più famosi scienziati cinesi, tra i massimi esperti di Sars e uno dei primi ad arrivare a Wuhan a gennaio, aveva confermato i sospetti di tutti, e cioè che il nuovo coronavirus si comportasse come un virus influenzale, e quindi si poteva trasmettere da uomo a uomo. Nonostante questo, e nonostante i casi di polmonite atipica si stessero diffondendo un po’ ovunque nel mondo, subito prima della partenza di Tedros per la Cina, l’Oms decise di non dichiarare l’emergenza di Wuhan “di preoccupazione internazionale”.

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