L’Iran si prepara al voto per eleggere il futuro Presidente. Si ricandida Ahmadinejad, Zarif nega di voler correre alle elezioni
Nella morsa delle sanzioni degli Stati Uniti e appesa a un filo sottilissimo all’accordo JCPoA, la Repubblica islamica dell’Iransi prepara al voto per eleggere il Presidente che sostituirà Hassan Rouhani in un clima sociale ulteriormente complicato dalla crisi pandemica e dalle numerose restrizioni. Da martedì scorso sono iniziate le registrazioni per poter partecipare alle presidenziali, con i candidati che hanno sottoposto la documentazione al Ministero dell’Interno. Sarà poi il Consiglio dei Guardiani della Costituzione a validare o meno le candidature, che finora hanno superato quota 50.
Ancora Ahmadinejad
Il nome di peso che si è presentato per le tredicesime elezioni nel Paese sciita è quello di Mahmoud Ahmadinejad: già Presidente per due mandati consecutivi, l’ex Sindaco di Teheran prova a superare i dubbi dell’Ayatollah Ali Khamenei posti nel 2017, quando la Guida Suprema parlò di figura “dannosa per la nazione”. Stavolta Ahmadinejad potrebbe essere ben visto dalla nomenclatura della Repubblica islamica, soprattutto se dovessero naufragare le sorti dell’accordo sul nucleare iraniano, ponendo così il Paese in una traiettoria che si scontrerebbe inesorabilmente con Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita più di quanto non sia avvenuto negli ultimi anni.
“Oggi la mia presenza per la registrazione si basa sulla richiesta di milioni di persone per la mia partecipazione alle elezioni, considerando la situazione della nazione e la necessità per una rivoluzione nella gestione del Paese”, ha dichiarato Ahmadinejad. Eppure, proprio con la sua amministrazione, l’immagine dell’Iran ha subito gravi contraccolpi a livello internazionale, posto ai margini della comunità globale per le posizioni difficilmente accettabili del suo Governo e per le azioni di repressione in politica interna, soprattutto nel 2009 con il Movimento Verde che si è opposto alla sua rielezione.
I candidati dell’area militare, il no Zarif
Da tempo è stata annunciata la candidatura dell’esperto Hossein Dehghan, già Brigadier Generale del Corpo Rivoluzionario. Dehghan ha ricoperto il ruolo di Ministro della Difesa nel primo Governo Rouhani, ora consigliere militare della Guida Suprema. Nonostante la sua presenza in un esecutivo moderato-riformista, l’esponente del Corpo Rivoluzionario ha affermato di ritenersi un indipendente senza legami con i partiti politici, parlando piuttosto di interesse nazionale e rivoluzione, facendo così sponda verso entrambi gli schieramenti. “È necessario uno spazio per il consenso, la comprensione, il dialogo a livello nazionale e uno spazio per il dialogo da una posizione di potere e dignità rispetto alla politica estera”, disse Dehghan presentando la sua candidatura lo scorso novembre.
Tra gli altri candidati dell’Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC) c’è Saeed Mohammad, classe ’68, definito stella nascente dell’IRGC. Non una vastissima esperienza militare quella di Mohammad, ma importanti titoli accademici che lo rendono un volto più fresco e pulito rispetto ad altri su posizioni simili. Interpretando le parole di Khamenei sulla necessità di un “Governo giovane e devoto” che possa trovare una soluzione alle problematiche della nazione, quella di Mohammad potrebbe essere una candidatura valida. Ma l’ultima parola spetterà al Consiglio dei Guardiani, che non è detto accettino la sua registrazione se ritenessero Mohammad privo di requisiti quali l’essere ‘uomo politico’.
Javad Zarif rimarrà fino ad oggi, ultimo giorno valido per le candidature, l’incognita per eccellenza. La sua figura sarebbe apprezzata per gli sforzi messi in atto per la salvaguardia non solo dell’immagine del Paese ma anche del JCPoA, di cui è stato uno dei fautori. Il Ministro degli Esteri ha ancora una volta negato velleità presidenziali, ma non è detta l’ultima parola. Lui e Rouhani sono ben consci di quanto danneggerebbe un risultato negativo delle consultazioni in atto a Vienna sul ripristino completo degli accordi sul nucleare: un ritorno degli Stati Uniti e la conseguente rimozione delle sanzioni verrebbero considerati un successo per i progressisti, ma se questo non si verificasse prima delle elezioni del 21 giugno la strada della presidenza sarà spianata per i conservatori.
L’Iran si prepara al voto per eleggere il futuro Presidente. Si ricandida Ahmadinejad, Zarif nega di voler correre alle elezioni
Nella morsa delle sanzioni degli Stati Uniti e appesa a un filo sottilissimo all’accordo JCPoA, la Repubblica islamica dell’Iransi prepara al voto per eleggere il Presidente che sostituirà Hassan Rouhani in un clima sociale ulteriormente complicato dalla crisi pandemica e dalle numerose restrizioni. Da martedì scorso sono iniziate le registrazioni per poter partecipare alle presidenziali, con i candidati che hanno sottoposto la documentazione al Ministero dell’Interno. Sarà poi il Consiglio dei Guardiani della Costituzione a validare o meno le candidature, che finora hanno superato quota 50.
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