Oggi si vota per eleggere l’ottavo Presidente della Repubblica islamica. La corsa è ridotta a quattro candidati: ecco chi sono
L’elezione dell’ottavo Presidente della Repubblica islamica dell’Iran, prevista per il 18 giugno, è una delle più delicate sin dalla rivoluzione del 1979. L’Iran è stato uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia da Covid-19, ha una valuta in caduta libera per via delle sanzioni imposte dagli Stati uniti e proprio le relazioni con Washington scontano gli ultimi quattro anni di altissima tensione, iniziata con l’annunciato ritiro dall’accordo sul nucleare da parte dell’amministrazione Trump e passata per gli assassinii del generale Qassem Soleimani e dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh.
L’usuale processo di “selezione all’ingresso” da parte del Consiglio dei Guardiani ha ridotto la lista di cinquecento candidati a sette personalità, dopo aver escluso sia dei noti candidati riformisti – come l’ex vice Presidente Eshaq Jahangiri -, sia dei conservatori moderati – come Ali Larijani – che degli esponenti del corpo dei Pasdaran – come i generali Hossein Dehgan e Parviz Fattah. Come di consueto, poi, nei giorni scorsi altri tre candidati – Mohsen Mehralizadeh, Saeed Jalili e Alireza Zakani – hanno deciso un ritiro “tattico”, nel proposito di favorire un candidato con maggiori chances. La corsa si è quindi ridotta a quattro candidati: il favorito Ebrahim Raisi, già sfidante di Rouhani nel 2017, Amir Hossein Ghazizadeh Hashemi, Mohsen Rezaei (alla quarta candidatura) e Abdolaser Hemmati, ex governatore della Banca centrale.
Il candidato Ebrahim Raisi
La figura di Ebrahim Raisi, noto in Occidente per aver presieduto alle purghe di dissidenti politici nel 1988 e per esser il capo del potere giudiziario, sembra avere le maggiori chances ma le elezioni iraniane hanno abituato alla vittoria di candidati “underdog“, come nel caso di Ahmadinejad o anche dello stesso Hassan Rouhani nel 2013. Specie quando l’elettorato percepisce che gli apparati politico-militari “promuovono” un candidato a discapito degli altri. Non è un caso che secondo le stime l’affluenza al voto sarà una delle più basse dal 1979 (normalmente oltre il 65%, con picchi del 78%), come forse lo è ancor meno che il fatto che lo stesso Raisi abbia implicitamente mostrato scetticismo sulla intransigenza del Consiglio dei Guardiani, invocando una “alta partecipazione al voto” che molti hanno letto in realtà come un invito alla flessibilità allo stesso.
La forza di Raisi risiede in una base elettorale ancora sufficientemente solida nella provincia di Mashhad, nella preferenza a lui accordata dall’Ufficio della Guida suprema, nel processo di selezione “solidale” del Consiglio dei Guardiani – che tuttavia potrebbe ritorcerglisi contro, proprio in virtù di quanto detto sulla percezione dell’elettorato – e nella connessa possibilità che Raisi sia destinato a diventare in futuro il successore di Ali Khamenei nel ruolo di Rahbar. Una sua elezione alla presidenza faciliterebbe questa transizione “morbida”, in modo simile a quanto accaduto con lo stesso Khamenei, che divenne Guida suprema nel 1989, dopo 8 anni come presidente della Repubblica.
Come noto, per l’elezione di Ali Khamenei a successore di Khomeini in seno all’Assemblea degli Esperti – organo che si rinnova ogni 8 anni a suffragio universale, e che elegge o rimuove a sua volta la Guida – fu fondamentale l’attività di lobbying di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, defunto ex Presidente, che durante il voto mise sul tavolo la preferenza per Khamenei, confidatagli da Khomeini nei suoi ultimi giorni di vita.
Il candidato Abdolaser Hemmati
Abdolaser Hemmati, governatore della Banca centrale, viene proprio da quegli ambienti, avendo aderito al partito Kargozaran Sazandegi, fondato nel 1996 da Rafsanjani. È lui lo “sfidante”, privo di una base elettorale solida ma anche sorprendente – non solo lui ma anche la moglie Sepideh Shabestari, intervistata dalla tv di Stato pochi giorni fa e divenuta trending topic sui social – durante gli ultimi dibattiti televisivi, dopo i quali era stato dato addirittura in vantaggio nei sondaggi per poche ore (vantaggio attribuito poi alle presunte macchinazioni di hackers, ndr). Hemmati, in modo analogo al suo “padrino” Rafsanjani, è un pragmatico, pienamente inserito nell’establishment della Repubblica islamica ma guidato più da valutazioni di costi e benefici che non dall’afflato rivoluzionario, più dagli indicatori economici che non dall’intransigenza dei principi, sebbene sempre molto attento a non assumere posizioni troppo divisive all’interno dell’arena politica.
Titolare di un dottorato in economia, noto per le sue connessioni nei mercati asiatici, Hemmati si è fatto particolarmente apprezzare come governatore della Banca centrale, ruolo che gli è stato conferito in seguito alla rimozione di Valiollah Seif, e dopo soli due mesi che era stato nominato ambasciatore a Pechino. Le chances di Hemmati sono legate a fattori generali e contingenti: se passasse l’idea di un processo di selezione politicamente motivato del Consiglio dei Guardiani, una buona parte dell’elettorato sia riformista che conservatore pragmatico potrebbe votarlo sia come candidato di compromesso che nella convinzione di preservare la credibilità del sistema.
In secondo luogo, le decisioni prese da Governatore della Banca centrale nel momento storico più critico per l’istituzione – particolarmente delicata la gestione del dossier sulla Financial Action Task Force, o l’operazione di fusione di cinque banche insolventi legate ai pasdaran nella Bank Sepah, così come la trasformazione del Sistema Integrato di Cambio della Banca centrale in una sorta di mercato in cui gli esportatori iraniani possono impiegare i loro ricavi in valuta estera – hanno contribuito alla sua buona reputazione in modo bipartisan.
Hemmati potrebbe essere visto come un tecnico finanziario molto utile a un Paese in forte difficoltà economiche e, allo stesso tempo, per via della specificità della sua figura, un Presidente più facilmente influenzabile – dagli apparati militari in particolare – e dialogante sugli altri dossier, primo tra tutti quello nucleare.
Quest’ultimo, chiunque sia il vincitore, rischia paradossalmente di essere il dossier meno divisivo, nella misura in cui a prescindere dalla presidenza in carica, esiste in Iran la volontà di capitalizzare i potenziali benefici di una amministrazione americana più aperta, e trovare un accordo più vantaggioso e soprattutto più difficilmente reversibile. Se però è vero che i toni in diplomazia contano quasi quanto la sostanza, quella di Raisi, molto più del più ecumenico Hemmati, è una figura che rischia di aumentare la storica incomunicabilità con gli Stati Uniti.
Oggi si vota per eleggere l’ottavo Presidente della Repubblica islamica. La corsa è ridotta a quattro candidati: ecco chi sono