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Haiti, la sfida geopolitica dei Caraibi


Dopo l'uccisione del Presidente, i principali attori internazionali presenti nel Paese più povero del continente cercano di gestire la crisi per evitare che le conseguenze ricadano sulla regione

A due settimane dall’omicidio del Presidente haitiano, Jovenel Moïse, la situazione ad Haiti sembra diventare sempre più complessa. Questo lunedì il Primo Ministro Claude Joseph, che aveva preso il controllo dell’esecutivo e dichiarato lo stato d’assedio, ha lasciato l’incarico. Fino alla settimana scorsa Joseph pretendeva di gestire la crisi fino alle elezioni previste per settembre. Il suo posto sarà occupato da Ariel Henry, che Moïse aveva nominato premier poche ore prima di essere ucciso, ma non era riuscito a prestare giuramento. Un colpo di mano diretto chiaramente dall’estero: era stato il Core Group Haiti – guidato dagli ambasciatori degli Stati Uniti e dell’Unione europea, dall’Organizzazione degli Stati Americani e dalla rappresentante speciale delle Nazioni Unite – a esortare Henry ad assumere il controllo del Governo venerdì scorso.

Il nuovo esecutivo “di larghe intese” avrà come unico obiettivo la celebrazione di nuove elezioni generali entro i prossimi quattro mesi. Una missione tutt’altro che semplice: dal 2018 infatti lo stesso Moïse governava a colpi di decreto. Solo 10 senatori su 30 sono in carica, mentre la Camera è vacante dal termine della legislatura e non ci sono mai state le condizioni di sicurezza per rinnovarne il mandato. Poi, ci sono le gang. Le organizzazioni criminali detengono di fatto il controllo di buona parte del territorio haitiano, specialmente nei collegi elettorali più importanti in termini di votanti. Il G9, un sodalizio di bande di Porto Principe fondato nel 2020 dall’ex poliziotto Jimmy Chérizier, ha di recente preso le distanze dal Parti Haïtien Tèt Kale, il partito di Governo che si era impegnato a sostenere, e ha lanciato l’appello a una “rivoluzione” contro lo Stato.

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