Ankara realizzerà un’enorme struttura nella quale far convergere tutti i centri di comando delle forze armate di terra, aria e mare. Per Erdogan è anche un modo per aumentare il consenso elettorale…
La Turchia sta realizzando un’enorme struttura nei pressi della capitale Ankara nella quale far convergere tutti i quartieri generali delle forze armate di terra, aria e mare e anche il capo di Stato maggiore.
Il complesso – che richiama la bandiera nazionale, con un edificio a forma di mezzaluna e un altro a forma di stella – occuperà una superficie di 13 milioni di metri quadrati e impiegherà 15mila dipendenti: è stato soprannominato il “Pentagono turco”, in riferimento alla sede del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. I lavori verranno ultimati prima del giugno 2023, quando si terranno le elezioni generali e i turchi voteranno per un nuovo Presidente e un nuovo Parlamento.
La popolarità di Erdogan e la politica interna
L’appuntamento elettorale del 2023 è fondamentale per capire le motivazioni dietro alla costruzione del complesso per la difesa. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha infatti più volte insistito sulla celebrazione della grandezza militare della Turchia per raccogliere consensi tra l’opinione pubblica. Il suo tasso di approvazione, peraltro, è in calo: ad agosto, secondo un sondaggio di Metropoll, era del 38%, il più basso dal giugno 2015. C’entra la cattiva condizione economica con la crescita dell’inflazione; le alluvioni e gli incendi dei mesi scorsi, che hanno causato la morte di un centinaio di persone; l’aumento dei flussi migratori, provenienti dall’Afghanistan (la Turchia già ospita quasi 4 milioni di rifugiati, più di ogni altro Stato al mondo).
Le dichiarazioni gonfie di retorica pronunciate da Erdogan alla cerimonia di presentazione del complesso miravano proprio a “pompare” la sua immagine davanti all’elettorato, al quale cerca di offrire un sogno di potenza che nasconda i problemi del Paese. Ha detto che la struttura “incuterà timore nei nostri nemici con la sua stazza, e infonderà fiducia nei nostri amici”.
I nuovi droni e la politica estera
Il tornaconto elettorale è sempre presente nei calcoli di Erdogan quando decide di intervenire all’estero o di presenziare agli eventi di inaugurazione di mezzi militari, ma non è l’unico motivo. La Turchia sta rafforzando il proprio apparato della difesa anche perché intende emanciparsi dall’estero e soddisfare le sue ambizioni geopolitiche: Ankara vuole essere una potenza regionale, come dimostrato dalle sue operazioni in Libia, vicino Cipro, in Siria e nel Caucaso; per riuscirci, punta sull’efficienza dei propri armamenti.
È rilevante, allora, la presenza di Erdogan alla cerimonia di presentazione della nuova generazione di droni costruiti dall’azienda turca Baykar, domenica scorsa. Chiamati Akinci (cioè raider, “incursore”), rappresentano la versione migliorata dei droni TB2, quelli schierati – e rivelatisi decisivi – in Siria, in Libia e nel Nagorno-Karabakh, e venduti tra gli altri a Polonia e Ucraina. Rispetto ai TB2, gli Akinci possono raggiungere altezze molto maggiori, restare in volo più a lungo, operare a supporto degli aerei da caccia e trasportare carichi più pesanti, come ad esempio i missili sviluppati dalla Roketsan, un’altra azienda turca della difesa. Pare che gli Akinci siano paragonabili, per capacità, ai droni MQ-9 Reaper della statunitense General Atomics.
Due settimane prima, il 15 agosto, Erdogan aveva partecipato al varo della prima corvetta (una nave militare di piccole dimensioni) costruita in Turchia per la marina pakistana: ne saranno consegnate quattro in tutto entro il 2025. Due di queste verranno realizzate insieme direttamente in Pakistan, come previsto da un accordo bilaterale che prevede il trasferimento di tecnologie da Ankara a Islamabad.
Ankara realizzerà un’enorme struttura nella quale far convergere tutti i centri di comando delle forze armate di terra, aria e mare. Per Erdogan è anche un modo per aumentare il consenso elettorale…