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Il Cile al bivio tra neo-pinochetismo e la svolta a sinistra


José Antonio Kast, apologeta della dittatura di Pinochet, e Gabriel Boric, ex leader del movimento universitario, si affronteranno al ballottaggio del 19 dicembre per scegliere il nuovo Presidente cileno. Una dicotomia che esprime le due anime di un Paese in subbuglio dal 2019

Il Cile dovrà scegliere il prossimo Presidente per il periodo 2022-2026 tra il rappresentante dell’estrema destra, José Antonio Kast, politico che in più di un’occasione ha rivendicato la dittatura militare di Augusto Pinochet, e Gabriel Boric, giovanissimo rappresentante della sinistra sorta dal movimento studentesco di inizio dei 2000 di cui è stato a lungo leader. Per la prima volta dal ritorno della democrazia nel 1990, le due coalizioni tradizionali di centrodestra, con a capo il Presidente attuale, Sebastián Piñera, e quella di centrosinistra guidata dalla Commissaria per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, non saranno presenti al secondo turno delle presidenziali.

Una svolta che ormai stupisce poco in realtà. Il risultato di domenica infatti solo può comprendersi se analizzato alla luce di quanto successo nell’ottobre del 2019, quando migliaia di studenti dei licei di Santiago (nell’enorme maggioranza studentesse, fatto tutt’altro che secondario) lanciarono un appello sui social a scavalcare i tornelli della metropolitana dopo la decisione del Governo di autorizzare l’ennesimo aumento dei biglietti. “Non sono trenta pesos, sono trent’anni”, divenne il leit motiv delle immense manifestazioni scatenate da quel gesto, e che hanno messo in scacco l’intera architettura istituzionale e politica costruita nel Paese dopo la caduta del regime di Pinochet. Il risultato di domenica dunque, segna ormai la fine di quel progetto, ma apre grandi interrogativi sul futuro.

La disfatta del “modello” cileno

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