Gli Stati Uniti rischiano di cadere nella trappola di Pechino: le loro mosse possono danneggiare lo status di superpotenza, favorendo la propaganda cinese
A inizio agosto, Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei rappresentanti, ha iniziato il suo tour diplomatico in Asia. La sua delegazione toccherà diversi stati, tra cui il Giappone, Singapore, Malesia e Corea del Sud per “riaffermare il forte e incrollabile impegno dell’America nei confronti dei nostri alleati e amici nella regione”.
Tra le mete indicate, vi è anche Taiwan: una scelta molto invisa al Governo di Pechino, disposta a prendere misure consone, qualora la volontà della Cina non venisse rispettata. Gli Stati Uniti sono caduti in una trappola a Taiwan, nella quale, qualunque decisione essi prendano nei confronti di Taipei, ne usciranno più deboli di prima.
Taiwan è senza dubbio l’argomento più ostico e critico nelle relazioni tra Usa e Cina. Nonostante Washington segua la “One China policy” per quanto riguarda il suo rapporto trilaterale con Taipei e Pechino, sin dal 1979, il Taiwanese Relations Act (TRA) regola i rapporti tra Taiwan e Usa, definendo tutti i settori che vanno da quello militare e sanitario a quello degli investimenti e degli scambi culturali. Questo documento autorizza de facto le relazioni diplomatiche con le autorità governative di Taipei, trattando così Taiwan come un equivalente di uno Stato estero sub-sovrano. Tuttavia, ora, la strategica ambiguità portata avanti da Washington si trova davanti a uno di quei bivi in cui non si può più essere ambivalenti.
Si o no: Nancy Pelosi andrà a Taipei?
L’ultima volta che un leader americano ha visitato Taiwan è stato nel 1997, e allora il tipo di viaggio era totalmente diverso da quello che l’amministrazione Biden vorrebbe intraprendere oggi. Per prima cosa, il repubblicano Newt Gingrich (colui che si recò a Taipei) non faceva parte della presidenza di Reagan; perciò dai cinesi, questa visita venne interpretata come uno strumento da usare nella loro lotta intestinale della politica americana. In secondo luogo, fu una visita ufficiale e annunciata formalmente. Infine, il tour prevedeva che l’ex Speaker della Camera andasse prima a Pechino, in seguito a Tokyo per poi andare a Taipei.
Invece, la visita di Nancy Pelosi è a tratti “arrogante” e scoordinata. Sebbene gli ufficiali militari statunitensi abbiano affermato che la sua visita non sia una buona idea, ci sono esponenti della politica americana, come Mike Pompeo, che spingono affinché il viaggio sia completato, per non esser così “bullizzati” dalla Cina davanti agli occhi del mondo. Anche nella chiamata di 2 ore 20 minuti tra Xi Jinping e Joe Biden è stato sottolineato come la politica degli Stati Uniti non sia cambiata e che essi si oppongono fortemente a qualunque sforzo unilaterale che miri a cambiare lo status quo dello stretto: tuttavia, questo non frena il Governo di Pechino nel manifestarsi irritato e sfidato in questo contesto.
Nancy Pelosi è attesa a Taipei in una data non precisa (forse 2 o 3 agosto) che potrebbe essere dopo la tappa di Singapore e prima di quella giapponese e coreana. Data la sensibilità della questione, l’amministrazione americana ha avuto alcune accortezze, probabilmente decise durante la lunga chiamata, come quella di non toccare la giornata del 1° agosto, in cui ricade il 95° anniversario della fondazione dell’Esercito popolare di liberazione cinese (EPL). Inoltre, la visita a Taiwan non è stata calendarizzata, né menzionata nell’ultimo comunicato stampa, dando un basso profilo all’intera vicenda e non ufficializzando l’incontro.
Il topino americano e le grinfie del dragone
Dopo la disastrosa ritirata dall’Afghanistan, il riarmo nucleare dell’Iran, la mancata negoziazione tra Russia e Ucraina e lo scarso appeal della diplomazia dei vaccini statunitense, si può includere la scomoda posizione in questa trappola cinese tra i peggior fallimenti della politica estera americana.
Qualunque azione intrapresa dagli Usa danneggerà il suo status di superpotenza, dando credito alla propaganda cinese. Qualora Nancy Pelosi decidesse di non atterrare a Taipei, questo sarebbe visto non solo dalla Cina, ma anche dalla comunità internazionale, come un forte segno di debolezza, forse il primo più eclatante nei confronti di Pechino. Se, invece, Washington approvasse lo stesso il viaggio (nonostante i moniti), potrebbe provocare diverse reazioni da parte del Governo cinese, dando spazio all’idea che gli Usa si comporterebbero da attaccabrighe, buttando benzina su temi molto scottanti in altri Paesi sovrani.
Ogni scelta avrà delle conseguenze negative sull’immagine degli Usa nel mondo. Anche se ancora non si sa cosa farà Nancy Pelosi, sia la Cina che gli Stati Uniti hanno mobilitato i loro caccia per monitorare la situazione e reagire nel primo caso e scortare l’aereo americano nel secondo, visto che su alcuni social media cinesi è aleggiata l’idea di qualche commentatore online di abbattere il jet, qualora questo entrasse nello spazio aereo cinese.
Gli Usa sono entrati nella trappola cinese dalla quale ne usciranno sicuramente con qualche osso rotto, soprattutto se, durante questa visita, assisteremo a qualche incidente militare tra la Cina e Taiwan o a una rapida escalation conflittuale tra i due, poiché la narrativa cinese farebbe ricadere la colpa sull’amministrazione di Biden.
È difficile uscirne illesi; tuttavia, l’unica soluzione “meno peggiore” tra le opzioni sul tavolo potrebbe essere quella di condurre la visita di Stato nel silenzio mediatico più religioso possibile (assai difficile), usare una dialettica che attinga dal libro della “One China policy” e non “tirare troppo la corda” con affermazioni che esulano dalla strategica ambiguità americana, anche perché parrebbe che la visita non sia un semplice stopover, ma che, invece, sarebbe colma di diversi impegni istituzionali per niente ordinari e scontati.