Il 2023 è l’anno dei record sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti. Biden e Lopez Obrador, che nel 2024 affronteranno le rispettive elezioni generali, corrono ai ripari con un summit lampo a Città del Messico per accordare una strategia.
È partita il 24 dicembre scorso da Tapachula, città dello stato messicano del Chiapas al confine col Guatemala, una nuova carovana di migranti latinoamericani verso la frontiera sud degli Stati Uniti. Sono circa 10.000, provenienti da dodici stati diversi del continente con l’intenzione di attraversare i 1.600 chilometri che li separano dal Texas a piedi.
“L’Esodo della Povertà”, come è stata battezzata questa nuova carovana, è solo l’ultimo esempio di un fenomeno che quest’anno ha battuto tutti i record. Era dal 2001 che non si vedevano flussi così massicci di migranti a ridosso della frontiera sud degli Usa. Solo in territorio messicano, il numero di persone detenute dalle autorità è salito del 71% quest’anno rispetto al 2022, trasformando così il paese nel terzo stato al mondo per quantità di richiedenti asilo secondo dati dell’Acnur.
Il governo di Andrés Manuel López Obrador ha pubblicato a inizio dicembre una serie di stime secondo le quali circa 2,2 milioni di persone hanno cercato di attraversare la frontiera tra gennaio e novembre 2023. Tra novembre e dicembre poi, i passaggi illegali hanno toccato un nuovo picco storico, e le autorità del Texas hanno ordinato la chiusura di due passi ferroviari provocando anche le accese proteste delle camere di commercio di entrambi i paesi.
Il governatore Greg Abbott ha firmato altresì la settimana scorsa una delle leggi anti-migratorie più dure della storia del paese, che permette alle forze dell’ordine di arrestare le persone “sospettate” di essere entrate illegalmente nel paese. Lopez Obrador ha criticato duramente la misura, che ha giudicato inumana, e ha invitato i messicani residenti negli Usa a non votare né per Abbot né per il governatore della Florida, Ron DeSantis, i candidati più conservatori alle primarie repubblicane di quest’anno che disputeranno la candidatura presidenziale contro Donald Trump.
Proprio la questione immigrazione tiene banco oggi nel dibattito politico a Washington in vista delle elezioni di novembre. Il Partito Repubblicano mantiene bloccato nel Congresso il progetto per l’invio di un nuovo pacchetto di aiuti per l’Ucraina, per obbligare la Casa Bianca a prendere misure urgenti per frenare i flussi provenienti dal Messico. Dal canto suo il presidente Joe Biden sa che senza una politica solida in quest’ambito, le sue già scarse aspirazioni per la rielezione alle presidenziali di novembre sono ancora più deboli.
Sono ormai diversi i think tank che chiedono lo stabilimento di una strategia a lungo termine su questo dossier. Per ora, il 68% degli statunitensi sostiene che l’immigrazione, sebbene comporti problematiche sociali, sia in ogni caso positiva per il paese. Ma la campagna repubblicana sta obbligando l’amministrazione Biden a mostrarsi più rigida nei confronti dei Latinos che oltrepassano il confine illegalmente.
Anche Lopez Obrador si vede obbligato ad agire in questo senso in vista delle presidenziali messicane di giugno. Sebbene il suo partito Movimiento de Regeneración Nacional (Morena) sia ampiamente favorito, e non sia lo stesso Lopez Obrador il candidato, la questione migranti e soprattutto l’azione dei gruppi narcos nelle rotte verso gli Usa mettono in luce uno dei tanti punti deboli della gestione del centrosinistra. È così che si può comprendere l’urgenza con cui è stato indetto l’incontro bilaterale di mercoledì a Città del Messico, a cui hanno partecipato lo stesso Lopez Obrador, il segretario di stato Anthony Blinken, il Segretario per la Sicurezza interna Usa Alejandro Mayorkas e la consulente per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Liz Sherwood-Randall.
Sebbene non siano state ancora annunciate misure concrete, le dichiarazioni di entrambe le parti esprimono soddisfazione. Biden rafforzerà la frontiera con altri 1.300 agenti, mentre il Messico prenderà provvedimenti per frenare il flusso proveniente dal Guatemala, come nel caso dell’Esodo della Povertà. Già la settimana scorsa i due governi avevano mantenuto un dialogo telefonico intorno alla questione migranti. López Obrador si era impegnato a rafforzare i controlli nella frontiera sud col Guatemala e a collaborare con le autorità statunitensi al nord per contenere la possibile emergenza umanitaria dovuta all’aumento dei flussi e dei respingimenti.
La questione però è tutt’altro che risolta, e gli effetti sulla geopolitica regionale sono sempre più evidenti. Il Census Bureau degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto in cui sostiene che la popolazione statunitense è aumentata di 1,6 milioni di persone durante il 2023. Ma l’incremento demografico è spiegato fondamentalmente dal fenomeno migratorio: due terzi dei nuovi abitanti del paese sono migranti, anche se il numero è sicuramente superiore visto che il report non tiene conto dei residenti irregolari o non documentati ufficialmente.
Anche dal punto di vista economico si tratta di un fenomeno molto rilevante per il Centro e Nord America. Le rimesse degli emigrati dagli Usa verso i 24 paesi latinoamericani hanno raggiunto quest’anno i 158 miliardi di dollari, un 9% in più rispetto allo scorso anno. Per alcuni paesi centroamericani come Guatemala, Honduras o El Salvador, il denaro inviato dai migranti negli Usa rappresenta più del 20% del loro Pil.
Intanto il fenomeno socio-culturale della migrazione cambia rapidamente, mentre le autorità di entrambi i paesi agiscono sempre più lentamente. Un recente articolo del New York Times analizza una nuova tendenza sorta nella comunità migrante latinoamericana a partire dalla diffusione dell’uso dei social tra chi intraprende il viaggio verso il territorio Usa. Sono sempre più popolari i consigli e gli esempi di traversate pubblicati da veri e propri influencer che hanno reso sempre meno necessaria l’intermediazione di traghettatori e gruppi criminali dedicati al trasporto di migranti. La pubblicazione di materiali di questo tipo potrebbe spiegare in piccola parte l’aumento dei flussi nell’era post-pandemia.
Insomma, la prossimità elettorale e la forza con cui i conservatori negli Usa esercitano pressione per contrastare le migrazioni latinoamericane hanno riacceso l’emergenza in un ambito in continua espansione. Sebbene presente nell’agenda geopolitica della regione da decenni, gli ultimi avvenimenti confermano che non esiste ancora un consenso intorno a come affrontare i problemi legati al flusso migratorio, che risultano sempre più incalzanti.
È partita il 24 dicembre scorso da Tapachula, città dello stato messicano del Chiapas al confine col Guatemala, una nuova carovana di migranti latinoamericani verso la frontiera sud degli Stati Uniti. Sono circa 10.000, provenienti da dodici stati diversi del continente con l’intenzione di attraversare i 1.600 chilometri che li separano dal Texas a piedi.
“L’Esodo della Povertà”, come è stata battezzata questa nuova carovana, è solo l’ultimo esempio di un fenomeno che quest’anno ha battuto tutti i record. Era dal 2001 che non si vedevano flussi così massicci di migranti a ridosso della frontiera sud degli Usa. Solo in territorio messicano, il numero di persone detenute dalle autorità è salito del 71% quest’anno rispetto al 2022, trasformando così il paese nel terzo stato al mondo per quantità di richiedenti asilo secondo dati dell’Acnur.