Primi vertici internazionali sulla situazione in Myanmar: ai colloqui in Indonesia sono presenti ASEAN, Ue, il governo ombra di unità nazionale del Myanmar e l’Onu. Segnali diplomatici anche dal summit nel Laos: si cerca di accelerare sul consenso raggiunto nel 2021 per la tregua, ma mai messo in pratica dalle autorità birmane.
Piano, ma qualcosa si muove. Dopo tre anni e otto mesi di guerra civile, cominciata dopo il golpe militare che ha deposto il governo civile guidato da Aung San Suu Kyi, arrivano segnali diplomatici sul Myanmar. I movimenti si osservano in due snodi cruciali, entrambi nella regione del Sud-Est asiatico. Intanto dal Laos, dove in questi giorni si svolgono le riunioni del summit annuale dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico), con la partecipazione dei Paesi partner, comprese le grandi potenze Cina e Stati Uniti. Vientiane proverà ad accelerare sul consenso in cinque punti raggiunto già nel 2021 per la tregua, ma mai messo in pratica dalle autorità birmane. Il blocco si è detto aperto ad altre strade per sostenere il suo piano, compresa la mediazione dei Paesi vicini e di organizzazioni esterne all’ASEAN.
Ma i segnali arrivano anche dall’Indonesia, che sempre in questi giorni ospita un incontro internazionale al massimo livello. Ai colloqui sono presenti l’ASEAN, l’Unione Europea, il governo ombra di unità nazionale del Myanmar e le Nazioni Unite. Giacarta ha dichiarato di aver ricevuto segnali positivi per un dialogo preliminare dalle principali parti in conflitto, ma non ci sono stati ancora segnali di avanzamento. La giunta ha sin qui rifiutato di impegnarsi in colloqui con i suoi rivali, definendoli terroristi intenzionati a distruggere il Paese. Anzi, il mese scorso ha esortato i suoi oppositori armati a fermare la loro ribellione e a scegliere la strada politica in vista delle elezioni annunciate per il prossimo anno. Un appello che è stato respinto da quasi tutti i gruppi, che ritengono sia impossibile fidarsi.
Sul campo, dove dal 1° febbraio 2021 ci sono stati oltre seimila morti civili con svariate migliaia di prigionieri politici, le tensioni restano forti. Poco dopo l’offerta di colloqui agli insorti, l’esercito birmano è accusato di aver bombardato una città controllata dall’opposizione. Si tratta di Lashio, nello Stato settentrionale dello Shan, un grande centro urbano conquistato in passato dai ribelli. L’offerta di colloqui appare dunque soprattutto un segnale tattico e formale, mentre nella pratica resta assai difficile immaginare qualsiasi forma di dialogo.
La giunta militare ha inoltre iniziato nei giorni scorsi un censimento a livello nazionale, affermando che servirà a compilare le liste degli elettori per le elezioni. La mossa è ampiamente vista come un tentativo di raccogliere informazioni per monitorare ancora più da vicino gli oppositori del governo militare. Il gruppo che guida la lotta contro il regime militare, il governo ombra di unità nazionale, ha consigliato alla popolazione di usare “cautela” nel partecipare al censimento. Tra i guerriglieri più convinti, c’è anche chi ha avvertito che coloro che aiutano a raccogliere informazioni andranno incontro a rappresaglie. L’Alleanza della Fratellanza Chin, che comprende cinque milizie di etnia Chin dello Stato Chin nord-occidentale, e il Dawei Defense Team, un gruppo della regione meridionale di Tanintharyi, hanno avvertito che intraprenderanno azioni forti contro il personale governativo militare che partecipa al censimento. Già a gennaio 2023 erano stati compiuti attacchi durante un sondaggio di tre settimane per la compilazione delle liste degli elettori.
I negoziati restano dunque ancora assai complicati. Qualche mese fa, sembravano essere stati fatti dei passi avanti dopo una tregua siglata dall’esercito e da alcuni gruppi ribelli, con la mediazione della Cina. Ma anche quella tregua è durata ben poco e i combattimenti sono ripresi, spesso con violenza ancora maggiore di prima.
Ora il tentativo dell’Indonesia, che va letto anche come il desiderio del presidente uscente Joko Widodo di ottenere un ultimo risultato del suo decennio al potere, stavolta in una politica estera che spesso i detrattori hanno considerato un po’ troppo timida. Il 20 ottobre, infatti, è previsto il passaggio di consegne tra Widodo e il suo erede designato, l’ex generale e ministro della Difesa Prabowo Subianto, vincitore alle elezioni dello scorso febbraio.
Sarà però difficile arrivare a risultati concreti, anche perché l’ostilità tra le parti si è del tutto sedimentata, riacutizzando una serie di conflitti e fronti interni che sembravano in parte essere stati stabilizzati con l’azione del governo civile di Suu Kyi. La molteplicità di attori in campo rende anche complicato riuscire a raggiungere un accordo quadro che possa reggere all’evoluzione della situazione sul campo.
L’Occidente, che si è interessato alla vicenda birmana in modo piuttosto discontinuo, così come anche le stesse potenze regionali asiatiche, sono chiamati a mostrare tra Giacarta e Vientiane che hanno l’intenzione di provare a contribuire seriamente alla soluzione di una crisi di cui resta molto difficile intravedere la fine.
Piano, ma qualcosa si muove. Dopo tre anni e otto mesi di guerra civile, cominciata dopo il golpe militare che ha deposto il governo civile guidato da Aung San Suu Kyi, arrivano segnali diplomatici sul Myanmar. I movimenti si osservano in due snodi cruciali, entrambi nella regione del Sud-Est asiatico. Intanto dal Laos, dove in questi giorni si svolgono le riunioni del summit annuale dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico), con la partecipazione dei Paesi partner, comprese le grandi potenze Cina e Stati Uniti. Vientiane proverà ad accelerare sul consenso in cinque punti raggiunto già nel 2021 per la tregua, ma mai messo in pratica dalle autorità birmane. Il blocco si è detto aperto ad altre strade per sostenere il suo piano, compresa la mediazione dei Paesi vicini e di organizzazioni esterne all’ASEAN.
Ma i segnali arrivano anche dall’Indonesia, che sempre in questi giorni ospita un incontro internazionale al massimo livello. Ai colloqui sono presenti l’ASEAN, l’Unione Europea, il governo ombra di unità nazionale del Myanmar e le Nazioni Unite. Giacarta ha dichiarato di aver ricevuto segnali positivi per un dialogo preliminare dalle principali parti in conflitto, ma non ci sono stati ancora segnali di avanzamento. La giunta ha sin qui rifiutato di impegnarsi in colloqui con i suoi rivali, definendoli terroristi intenzionati a distruggere il Paese. Anzi, il mese scorso ha esortato i suoi oppositori armati a fermare la loro ribellione e a scegliere la strada politica in vista delle elezioni annunciate per il prossimo anno. Un appello che è stato respinto da quasi tutti i gruppi, che ritengono sia impossibile fidarsi.