Coronavirus, Cina: oggi vediamo appieno la crisi del sistema sanitario cinese. Quindi, invece di ricercare inesistenti complotti, analizziamo con freddezza le sue inefficienze
Gli operatori sanitari si abbracciano all'aeroporto internazionale di Wuhan dopo che le restrizioni di viaggio per lasciare Wuhan sono stati revocate, 8 aprile 2020. REUTERS/Aly Song
Coronavirus, Cina: oggi vediamo appieno la crisi del sistema sanitario cinese. Quindi, invece di ricercare inesistenti complotti, analizziamo con freddezza le sue inefficienze
Gli operatori sanitari si abbracciano all’aeroporto internazionale di Wuhan dopo che le restrizioni di viaggio per lasciare Wuhan sono stati revocate, 8 aprile 2020. REUTERS/Aly Song
Il Paese da cui tutto ha avuto inizio non spicca fra quelli che stanno gestendo meglio la crisi: anche se per un certo periodo alcuni osservatori si erano lasciati impressionare dalle maniere forti cinesi, ipotizzando che una dittatura avesse maggiori strumenti per sconfiggere un’epidemia, la tendenza autoritaria ha invece inflitto alla popolazione molta più brutalità del necessario, anche davanti a un’emergenza sanitaria.
Cercare di ripercorrere quanto accaduto in Cinaè reso difficile dal controllo capillare che Pechino vuole imporre sulle informazioni – uno sforzo che sembra impegnare le autorità cinesi quanto se non più di quello messo in atto per contenere il diffondersi del virus. Mentre si vuole analizzare la risposta cinese alla crisi, è inevitabile inciampare in coni d’ombra ingombranti, che confermano quanto il Governo di Pechino consideri cruciale gestire quello che la popolazione sa, e come utilizza questo suo sapere.
Quello che possiamo ricostruire con certezza però è che la Cina, e in particolare la regione dello Hubei, epicentro della malattia, ha cercato disperatamente di soffocare l’epidemia di Covid-19, anche mettendo a tacere il personale sanitario che cercava di dare l’allarme, rendendosi ben presto conto che questo non era possibile: così, dopo i primi arresti di chi aveva provato a giocare la carta della trasparenza, ecco che le autorità cinesi si sono impegnate in un lockdown senza precedenti – sia per dimensioni che per severità.
Tutti i problemi del sistema sanitario emersi negli ultimi anni hanno mostrato fino a che punto la riforma della sanità non sia più rimandabile. Uno dei problemi più gravi è, da tempo, quello della violenza contro il personale sanitario, da parte dei pazienti e dei loro familiari. Lo scorso dicembre, prima dello scoppio dell’epidemia, le autorità cinesi avevano finalmente approvato una legge volta a proteggere il personale sanitario dalle minacce e violenze, dopo l’ennesima vittima – una dottoressa uccisa a coltellate a Pechino. I casi di dottori uccisi da pazienti o dai loro familiari sono stati talmente tanti, che alcuni degli ospedali più prestigiosi del Paese hanno cominciato a insegnare auto-difesa al personale sanitario. Tragicamente, la legge per la loro protezione entra in vigore solo nel giugno 2020, e l’afflusso straordinario di persone agli ospedali fa sì che vi sia un ampio potenziale di abuso del personale medico sanitario.
Le cause della rabbia e violenza contro il personale sanitario sono molteplici, ma vanno attribuite a delle debolezze intrinseche del sistema. Il problema più grave è quello degli investimentiinsufficienti, che hanno portato a una serie di errori medici, anche dovuti a una formazione inadeguata. A questo, si sono aggiunti casi sempre più numerosi di corruzione all’interno degli ospedali, scarsa capacità di comunicazione fra pazienti e medici, e, di nuovo, una relazione con i media che non ha saputo diminuire le tensioni. La stampa, interamente sotto controllo governativo, continua infatti a diffondere notizie trionfalistiche ed eccessivamente positive, che hanno come unico effetto quello di creare aspettative non realistiche fra i familiari dei malati – che sfogano con casi di violenza anche mortale il traumatico incontro con la realtà.
Le aspettative deluse vengono poi esacerbate dall’elevato costo dei trattamenti medici: la necessità di introiti fa sì che molti dottori prescrivano analisi e test non del tutto necessari, per quanto cari, che portano molte famiglie a indebitarsi nel tentativo di curare i congiunti. Ad oggi, la malattia continua a essere una delle prime cause di indebitamento per interi nuclei familiari, dato che i trattamenti sono per lo più a pagamento, e le sovvenzioni statali per gli ospedali pubblici non coprono né i costi, né riescono a garantire un servizio minimo sufficiente. A questo si aggiunge la frustrante consapevolezza dell’esistenza di un sistema parallelo, dove tutte le sciagure degli ospedali pubblici non esistono: queste sono le cliniche per gli alti quadri di Partito, che dispongono di mezzi impensabili per gli ospedali comuni, ma che sono accessibili solo a pochi privilegiati.
Ma a parte il clamoroso venire al pettine di una serie di problemi la cui soluzione era stata rimandata a più tardi, è difficile stabilire con certezza quanto stia avvenendo davvero nel Paese, e fino a che punto sia possibile fidarsi delle cifre ufficiali sui contagi, le guarigioni e i decessi. Non solo per un istinto per il segreto ufficiale inscalfibile, ma anche per le contraddizioni presentate dalla struttura governativa, che spingono molti quadri di Partito a cercare di non compromettere le loro possibilità di carriera evitando di trasmettere cattive notizie il più a lungo possibile. Dopo il disastro che si è scatenato su Wuhan, sappiamo di un nuovo grosso focolaio nella provincia dell’Heilongjiang e del suo capoluogo, Harbin, ma perfino l’Organizzazione mondiale della sanità, che tanto ha fatto per proteggere la Cina dalle critiche, non è stata invitata a recarsi nel Paese per un’investigazione sul terreno.
L’epidemia è cominciata con degli arresti – fra cui quello del dottore Li Wenliang, morto di coronavirus, ora assunto dalla propaganda nazionale a eroe sacrificatosi per la patria – e con gli arresti continua ad andare avanti: attivisti che sanno aggirare i controlli su Internet, familiari delle vittime e i loro avvocati, che vorrebbero denunciare le autorità per negligenza, e perfino volontari che si sono spesi per tamponare l’emergenza sanitaria, ma che ora diffondono una versione dei fatti in flagrante contraddizione con quella ufficiale. Mentre la Cina e il resto del mondo litigano lanciandosi accuse a vicenda, quelli che corrono i maggiori rischi sono i cittadini cinesi, e in particolar modo quelli che hanno avuto la sventatezza di parlare con la stampa internazionale nei giorni più gravi dell’epidemia.
L’unica prova davvero certa che indichi che l’ondata di contagi più rischiosa è davvero stata portata sotto controllo ci viene data dal fatto che la Cina abbia annunciato le date per l’annuale sessione plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo, che avrebbe dovuto tenersi a marzo ma è slittata alla fine del mese di maggio. Difficile immaginare che il Partito voglia mettere a repentaglio la salute dei delegati nazionali, e autorizzarli a recarsi a Pechino se le cose dovessero ancora essere così pericolose. L’appuntamento avrebbe dovuto essere solenne, e preparare la Cina a uno degli anniversari che più stanno a cuore al Presidente cinese (nonché Segretario Generale del Partito) Xi Jinping, ovvero, il centesimo anniversario della fondazione del Partito comunista, che si celebrerà il 1° luglio 2021. L’epidemia ha già impedito che Xi potesse chiedere a tutti i delegati di adoperarsi per una crescita economica che portasse al raddoppio del Pil rispetto ai dati del 2010.
Non è possibile esagerare l’importanza che riveste per Xi Jinping l’appuntamento con il centesimo anniversario della fondazione del Partito: non è un caso che a portare avanti il battibecco con gli Stati Uniti non sia lui, ma vari altri rappresentanti del Governo e della diplomazia cinese. Per Xi, il centenario deve essere il trionfo suo e di quel Sogno Cinese con cui ha iniziato il suo mandato. Lo scoppio dell’epidemia gli ha messo i bastoni fra le ruote, portando non solo a una crisi sanitaria senza precedenti contemporanei, ma anche ad un contraccolpo sull’economia che non sarà di breve durata. La durezza della risposta nei confronti dei critici interni ed esterni va letta proprio come un tentativo di mantenere forti le redini del controllo, in un momento in cui questo tende a sfuggire di mano per cause di forza maggiore.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di giugno/luglio di eastwest.
Il Paese da cui tutto ha avuto inizio non spicca fra quelli che stanno gestendo meglio la crisi: anche se per un certo periodo alcuni osservatori si erano lasciati impressionare dalle maniere forti cinesi, ipotizzando che una dittatura avesse maggiori strumenti per sconfiggere un’epidemia, la tendenza autoritaria ha invece inflitto alla popolazione molta più brutalità del necessario, anche davanti a un’emergenza sanitaria.
Cercare di ripercorrere quanto accaduto in Cinaè reso difficile dal controllo capillare che Pechino vuole imporre sulle informazioni – uno sforzo che sembra impegnare le autorità cinesi quanto se non più di quello messo in atto per contenere il diffondersi del virus. Mentre si vuole analizzare la risposta cinese alla crisi, è inevitabile inciampare in coni d’ombra ingombranti, che confermano quanto il Governo di Pechino consideri cruciale gestire quello che la popolazione sa, e come utilizza questo suo sapere.
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