Il documento della Nasa vuole diventare il nuovo riferimento internazionale per lo spazio dopo il Trattato del 1967; sono molti i Paesi che vi hanno aderito, invece Parigi e Berlino hanno delle riserve
La nuova corsa allo spazio ha aperto inedite possibilità economiche e, forse, evolutive: è tutto un parlare di space economy, di sfruttamento minerario, di stazioni permanenti sulla Luna, di colonizzazione di Marte. La realtà e la fantascienza si mescolano, il possibile e il fattibile pure, ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti – che vogliono riportare l’essere umano sul satellite naturale della Terra nel giro di pochi anni – abbiano intenzione di guidare questa fase esplorativa e di stabilirne le regole.
Esiste un documento, chiamato Accordi di Artemis dall’omonimo programma della Nasa, che contiene i princìpi graditi a Washington su questioni come lo sfruttamento delle risorse naturali presenti sul suolo lunare o sulle comete e gli asteroidi, oppure il ruolo dei Governi nella protezione dei siti minerari o delle basi. In altre parole, gli Accordi di Artemis vogliono diventare il nuovo riferimento internazionale per la condotta cosmica dopo il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, elaborato in sede Onu.
Gli Accordi di Artemis
Il testo degli Accordi di Artemis è stato pubblicato nell’ottobre 2020 e – come ricostruisce Politico – vi hanno aderito, tra gli altri, l’Italia, il Regno Unito, il Lussemburgo, la Polonia, il Canada, l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud. Tra i Paesi che non hanno alcuna intenzione di firmarlo ci sono innanzitutto la Cina e la Russia, che hanno i propri piani per lo spazio e non vogliono sottostare agli standard americani. Quelli che invece teoricamente potrebbero, perché alleati di Washington, ma hanno delle riserve sono la Francia e la Germania, le due “teste” principali dell’Unione europea.
Le divergenze tra Washington, Parigi e Berlino
Attraverso Artemis, l’America vuole fissare un concetto fondamentale: che l’estrazione di risorse extra-terrestri – le terre rare sulla Luna, ad esempio – non costituisce intrinsecamente una forma di appropriazione nazionale. In altre parole, sta dicendo alle proprie aziende private, come SpaceX e Blue Origin, di tenersi pronte. La Francia, invece, è molto legata alla definizione contenuta del Trattato del 1967, dove si legge che lo sfruttamento minerario spaziale va considerato proprio come un’appropriazione nazionale, e in quanto tale proibito.
Le divisioni tra Washington, Parigi e Berlino non si limitano allo space mining. Gli Stati Uniti, infatti, vogliono istituire delle “zone di sicurezza” nello spazio: un concetto che potrebbe consentire loro di rivendicare l’accesso esclusivo a certe parti di cosmo, esattamente il contrario di quanto affermato nel Trattato del 1967.
Gli americani vorrebbero che gli europei si unissero al loro quadro normativo per l’esplorazione dello spazio, in modo da isolare e ostacolare le mosse di russi e cinesi. Ma Bruxelles ha obiettivi di autonomia strategica, non vuole continuare a dipendere da Washington e intende far valere i propri interessi. I francesi e i tedeschi vorrebbero un’Agenzia spaziale europea (ESA) più presente e rilevante. La difficoltà sta nel raccogliere consensi in sede comunitaria, anche perché diversi membri dell’Unione – come l’Italia – si sono già uniti agli Accordi di Artemis.
Di recente il direttore generale dell’ESA, Josef Aschbacher, ha detto che l’Europa dovrebbe contrastare SpaceX e il suo programma Starlink sui satelliti nell’orbita bassa, altrimenti quest’azienda finirà per dominare la space economy e scriverne le regole, rendendo di fatto impossibile la concorrenza alle imprese del Vecchio continente.