Riprendono i negoziati sul nucleare per cercare di salvare l’accordo del 2015. Ma da quell’anno molte cose sono cambiate…
Sono ripresi a Vienna i colloqui multilaterali tra Iran e le diplomazie occidentali, di Cina e Russia per tentare di salvare il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA), l’accordo sul nucleare siglato nel 2015 tra Teheran nel tentativo di impedire all’Iran di dotarsi della tecnologia necessaria per costruire la bomba. Come tutti ricorderanno l’accordo venne siglato dopo un forte investimento diplomatico da parte americana e un ruolo importante svolto dalla Russia ma venne presto messo in discussione dal Presidente Trump che lo abbandonò nel maggio 2018.
Da quella data molte cose sono cambiate. Innanzitutto lo stesso Iran, colpito duramente dalle sanzioni che Trump è tornato a imporre, ha cominciato a violare apertamente i termini dell’accordo annunciando che avrebbe ripreso con l’arricchimento dell’uranio oltre i limiti previsti dal JCPoA. Le condizioni che il leader supremo, l’ayatollah Khamenei aveva chiesto all’Europa di rispettare per evitare che l’Iran riprendesse la propria corsa verso l’atomica erano semplici: continuare a commerciare con il Paese nonostante Washington. Ma il sistema di sanzioni messo su dall’amministrazione Trump, nella quale sedevano almeno due falchi ossessionati dal regime sciita (Mike Pompeo e John Bolton) prevedeva sanzioni per tutte le imprese che avessero proseguito i loro commerci con l’Iran e così le multinazionali europee smisero di investire o comprare petrolio iraniano.
L’altro grande cambiamento riguarda la politica: a Washington siede un Presidente il cui staff più vicino fu determinante nel condurre i negoziati. Sul fronte opposto, l’ala dura di Teheran ha approfittato della crisi economica determinata dalle sanzioni e della disillusione di quella popolazione che sperava nell’apertura del Paese per riprendersi la presidenza. E così la delegazione inviata dal neo Presidente Ebrahim Raisi è composta da falchi storicamente contrari agli accordi con gli americani. Questa è la novità negativa dei nuovi colloqui, negli ultimi mesi infatti delegazioni europee e russe si sono incontrate con quella iraniana per discutere e hanno tenuto informati gli americani, ma i diplomatici che incontravano erano ancora quelli inviati dall’ex Presidente Rouhani, ovvero erano favorevoli a rilanciare gli accordi e arrivare, come si disse nel 2015, a un accordo generale tra Iran e Stati Uniti, qualcosa che riportasse nell’alveo della quasi normalità le relazioni tra i due arci-nemici. Siamo ben lontani dal clima del 2015.
Cosa chiede Teheran? Semplice, la fine delle sanzioni. “Se gli Usa vengono a Vienna con l’obiettivo di rimuovere le sanzioni potranno cogliere l’opportunità di tornare all’accordo” ha affermato il portavoce del Ministero degli Esteri, Saeed Khatibzadeh. Gli Stati Uniti devono essere “determinati a rimuovere gli ostacoli” ha aggiunto Khatibzadeh, altrimenti “la situazione sarà difficile e l’Iran prenderà in considerazione altre opzioni”.
La novità politica iraniana sta soprattutto nell’allineamento dei suoi poteri: quando un riformista vince la presidenza, infatti, il potere tende a essere la sintesi di spinte diverse, mentre oggi il potere politico elettivo (la presidenza) e quello politico religioso – la Guida Suprema – sono sulla stessa lunghezza d’onda. Nel breve termine Teheran dovrebbe avere interesse a giungere a un rilancio del JCPoA per rilanciare l’economia e l’export, cresciuti in maniera vistosa nei due anni in cui questo è stato in vigore e poi collassati sotto il peso delle sanzioni e del Covid – oggi l’economia è in lieve ripresa, ma dopo un triennio negativo e con l’inflaziona che la Banca mondiale prevede essere in calo ma attorno al 20%.
Nella testa di Teheran non c’è però la volontà di un grande accordo, anzi. La strategia che l’ala dura iraniana ha in mente è quella di costruire un’economia di scambi con le potenze emergenti e non particolarmente preoccupate da diritti umani o attivismo sciita in Medio Oriente per sottrarsi a quelli che vive come ricatti occidentali. Gli Usa si sono detti disponibili a eliminare tutte le sanzioni collegate al JCPoA se l’Iran sceglierà di ricominciare a implementarne i termini. Ma una parte enorme delle sanzioni imposte da Trump dopo la sua uscita dagli accordi nucleari vengono classificate come collegate al record iraniano sui diritti umani o al suo sostegno alle milizie sciite e non in giro per il Medio Oriente (Hezbollah, Hamas, Huti in Yemen). Si troverà un accordo su quali e quante sanzioni? C’è poi la rabbia iraniana per l’assenza di conseguenze che gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare per aver rinnegato un accordo che loro stessi avevano firmato: perché fidarsi di chi non rispetta gli accordi? Non dimentichiamo poi che l’apertura del Paese al mondo avrebbe un effetto positivo sulla popolarità dei nuovi governanti, ma anche un effetto di medio termine sulla società iraniana che in diverse occasioni ha votato per il cambiamento.
Anche gli Stati Uniti hanno i loro problemi. Un numero consistente di alleati regionali non vedono di buon occhio il riavvicinamento – Israele in primis, naturalmente – e anche i britannici guidati da Boris Johnson non sono particolarmente favorevoli.
Sullo sfondo le minacce reciproche. Gli americani assicurano che non consentiranno a Teheran di dotarsi di armi a qualsiasi costo, segnalando la possibilità di inasprire la morsa economica ma anche di non escludere possibili azioni militari. Gli iraniani invitano gli Usa a non fare gli arroganti e si dicono pronti a reagire a qualsiasi provocazione. La speranza è che i toni usati da ciascuno siano quelli tipici di quando si sta per negoziare sul serio: minacciare per mostrarsi forti e mostrare i muscoli alla propria opinione pubblica per poi vendere l’accordo come un successo. Se però dovessimo basarci su quanto dicono gli esperti iraniani, americani ed europei che scrivono la loro opinione in queste ore, non c’è da essere particolarmente ottimisti sull’esito dei colloqui che si aprono a Vienna.
Da quella data molte cose sono cambiate. Innanzitutto lo stesso Iran, colpito duramente dalle sanzioni che Trump è tornato a imporre, ha cominciato a violare apertamente i termini dell’accordo annunciando che avrebbe ripreso con l’arricchimento dell’uranio oltre i limiti previsti dal JCPoA. Le condizioni che il leader supremo, l’ayatollah Khamenei aveva chiesto all’Europa di rispettare per evitare che l’Iran riprendesse la propria corsa verso l’atomica erano semplici: continuare a commerciare con il Paese nonostante Washington. Ma il sistema di sanzioni messo su dall’amministrazione Trump, nella quale sedevano almeno due falchi ossessionati dal regime sciita (Mike Pompeo e John Bolton) prevedeva sanzioni per tutte le imprese che avessero proseguito i loro commerci con l’Iran e così le multinazionali europee smisero di investire o comprare petrolio iraniano.