La visita a Tokyo della Prima Ministra neozelandese Jacinda Ardern è l’occasione per annunciare l’apertura di un negoziato per un accordo tra la Nuova Zelanda e il Giappone che potrebbe portare quest’ultimo all’ingresso nei Five Eyes
La visita a Tokyo della Prima Ministra neozelandese Jacinda Ardern, giovedì, è stata l’occasione per annunciare l’apertura di un negoziato per un accordo sulla condivisione di informazioni classificate tra la Nuova Zelanda e il Giappone. Che potrebbe in seguito portare – è questo l’elemento più interessante della notizia – all’ingresso del Giappone nei Five Eyes, l’alleanza sullo scambio di intelligence tra gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, l’Australia e, appunto, la Nuova Zelanda.
Il Giappone vuole i “Six Eyes”
È un passo che Tokyo sta preparando già da tempo, sia nelle dichiarazioni che nei fatti: nel 2020 l’allora Ministro della Difesa, Taro Kono, propose un rinnovo del gruppo in “Six Eyes”; nel 2021 l’ambasciatore giapponese in Australia, Shingo Yamagami, disse che gli piacerebbe “vedere quest’idea diventare realtà nel futuro prossimo”.
Il Paese, soprattutto, ha lavorato per aumentare la propria credibilità di fronte ai membri dei Five Eyes, che avevano qualche riserva sul grado di affidabilità delle agenzie di intelligence giapponesi: l’approvazione, nel 2013, di una legge sui segreti di stato ha fugato parte dei dubbi e permesso a Tokyo di raggiungere degli accordi di intelligence-sharing con Washington, Londra e Canberra.
La paura della Cina
Alla base dell’avvicinamento tra la Nuova Zelanda e il Giappone, e dell’interesse di quest’ultimo per l’accesso all’alleanza anglofona, ci sono i timori condivisi per l’assertività della Cina nell’Asia-Pacifico.
Nel presentare le trattative per l’accordo sulle informazioni classificate, Ardern e l’omologo giapponese Fumio Kishida hanno parlato infatti di “crescenti sfide strategiche” nella regione e ribadito la loro opposizione alle “azioni unilaterali che cercano di modificare lo status quo con la forza” nei mari Cinese meridionale e Cinese orientale: un riferimento alle rivendicazioni di Pechino su queste acque, dove costruisce isolotti artificiali militarizzati, e alla disputa sul controllo dell’arcipelago delle Senkaku.
Nei giorni immediatamente precedenti alla visita di Ardern a Tokyo le Isole Salomone – una piccola nazione insulare nell’oceano Pacifico meridionale – hanno fatto sapere di aver raggiunto un accordo sulla sicurezza con la Cina, tra le preoccupazioni americane e australiane.
La nuova linea della Nuova Zelanda
La Nuova Zelanda ha mostrato a lungo una certa riluttanza a criticare gli abusi dei diritti umani e gli atteggiamenti prevaricatori della Cina, il suo socio commerciale più importante e primo mercato di sbocco per le esportazioni. La rilevanza dell’interscambio ha permesso a Pechino di espandere con più facilità la sua influenza politica su Wellington: nel 2017, ad esempio, si scoprì che un importante membro del parlamento neozelandese si era occupato dell’addestramento di spie cinesi.
Negli ultimi anni, però, la Nuova Zelanda ha elaborato una politica estera più critica nei confronti della Repubblica popolare cinese, non percependola più unicamente come un’opportunità economica ma anche come una sfidante. Nel 2021 un rapporto del Ministero della Difesa neozelandese affermava appunto che l’ascesa della Cina e la sua “narrazione nazionalista sempre più forte” avevano creato un “quadro strategico sostanzialmente più impegnativo e complesso”.
È un passo che Tokyo sta preparando già da tempo, sia nelle dichiarazioni che nei fatti: nel 2020 l’allora Ministro della Difesa, Taro Kono, propose un rinnovo del gruppo in “Six Eyes”; nel 2021 l’ambasciatore giapponese in Australia, Shingo Yamagami, disse che gli piacerebbe “vedere quest’idea diventare realtà nel futuro prossimo”.