Gli Stati Uniti vogliono condurre operazioni antiterrorismo “over the horizon”, cioè dall’esterno, con i Paesi dell’Asia centrale. Putin ha messo a disposizione le basi russe nella regione
Da mesi, già da molto prima che si svolgesse la ritirata da Kabul, si sapeva che gli Stati Uniti avevano intenzione di mantenere una capacità di monitoraggio e offesa sull’Afghanistan “dall’esterno” (over-the-horizon, in gergo tecnico): lo avevano detto il segretario alla Difesa Lloyd Austin, il capo dello Stato maggiore congiunto Mark Milley e anche il Presidente Joe Biden.
Vantaggi e svantaggi delle operazioni “over-the-horizon”
Quello che intendevano comunicare è che l’America avrebbe continuato a tenere sotto controllo l’Afghanistan e i Talebani – sul fatto che questi avrebbero completato la loro riconquista in tempi brevi non c’erano mai stati dubbi – per assicurarsi che il Paese non si trasformasse di nuovo in una base operativa per i gruppi terroristici. Un approccio vantaggioso, perché permetterebbe a Washington di continuare a esercitare un potere deterrente, intervenendo chirurgicamente quando necessario e senza dover sostenere i costi di una presenza fisica, permettendogli così di concentrarsi negli scenari davvero rilevanti (l’Indo-Pacifico, per il contenimento della Cina).
Un esempio di operazione over-the-horizon c’è stato il 27 agosto, quando un drone americano decollato da una non precisata postazione in Medio Oriente ha ucciso due affiliati allo Stato islamico della provincia del Khorasan, l’organizzazione che aveva rivendicato l’attentato all’aeroporto di Kabul. L’operazione tutto sommato funzionò, ma da un punto di vista logistico non fu proprio efficiente: il drone dovette partire da lontano, probabilmente da qualche piattaforma nel golfo Persico, perché gli Stati Uniti non possiedono basi militari in nessuno dei Paesi confinanti con l’Afghanistan. L’apertura di nuove strutture non sembra peraltro plausibile, per tre motivi: i costi, l’irrilevanza strategica (l’Afghanistan non ha un valore geopolitico per l’America) e le difficoltà negoziali con i Governi della regione.
Le trattative con l’Asia centrale
Piuttosto che aprire delle basi proprie, allora, gli Stati Uniti stanno cercando di farsi ospitare in quelle degli altri. Dalle rivelazioni di Politico sappiamo che l’amministrazione Biden sta trattando con il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Kirghizistan per ottenere la loro collaborazione alle operazioni over-the-horizon: gli americani ci mettono i velivoli e gli equipaggiamenti vari, le nazioni centroasiatiche le infrastrutture fisiche e la geografia.
Ad oggi, per dirigersi in Afghanistan un drone americano deve partire dal golfo Persico o dal Mar Arabico: la lunghezza del volo e il consumo di carburante fanno però sì che l’aeromobile, una volta giunto a destinazione, non possa trascorrere molto tempo sopra il suo bersaglio e debba agire in fretta. A risentirne saranno le capacità di sorveglianza e di raccolta delle informazioni, ma anche l’accuratezza delle operazioni: gli Stati Uniti hanno già ammesso di aver ucciso dieci civili afghani, e non miliziani dell’ISIS-K, con un attacco via drone a Kabul il 29 agosto.
Appoggiarsi a un Paese confinante con l’Afghanistan permetterebbe di risolvere almeno alcune di queste criticità. Washington può spingere con i negoziati soprattutto con l’Uzbekistan, dove un appoggio militare lo possedeva, fino al 2005: la base aerea di Karshi-Khanabad, che fungeva da piattaforma di supporto proprio per l’antiterrorismo in Afghanistan contro al-Qaeda.
L’offerta di Putin
Alla volontà americana si contrappone però la forte influenza esercitata dalla Russia su tutta l’Asia centrale. Non fosse che lo stesso Presidente russo Vladimir Putin si è offerto di lasciare usare agli Stati Uniti le basi di Mosca nella regione: lo ha scritto il Wall Street Journal, svelando così il contenuto della recente riunione tra il generale Milley e il suo omologo russo Valery Gerasimov, della quale si sapeva ben poco.
Si tratta di un’offerta sorprendente, considerato che nei mesi scorsi Putin si era detto contrario alla possibilità. Ed è un’offerta che agli Stati Uniti potrebbe anche far comodo accettare, visto che l’apparato militare pensa che al-Qaeda – l’autrice degli attentati dell’11 settembre 2001 – potrebbe ricostituirsi in Afghanistan in un arco di tempo molto breve, dai sei ai trentasei mesi, e tornare a minacciare la sicurezza americana.
Gli Stati Uniti non possono contare sulla collaborazione del regime talebano; d’altra parte, nemmeno la Russia è un’alleata e non è disinteressata. Affidarsi alle basi di Mosca metterebbe Washington in una condizione di dipendenza ed esporrebbe il suo equipaggiamento militare alla raccolta di informazioni da parte dell’intelligence russa.
Gli Stati Uniti vogliono condurre operazioni antiterrorismo “over the horizon”, cioè dall’esterno, con i Paesi dell’Asia centrale. Putin ha messo a disposizione le basi russe nella regione