L’Emirato Islamico avvia un progetto pilota per creare Zone Economiche Speciali nelle ex basi militari statunitensi: si parte da Kabul e Balkh
Un progetto per attrarre investimenti stranieri nel Paese, un tentativo di legittimazione internazionale che, evidentemente, non va di pari passo alla corretta gestione dei diritti umani e dello sviluppo del benessere della popolazione. I Talebani, al Governo dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan dall’abbandono delle forze militari occidentali nell’agosto del 2021, provano nuove strade per posizionarsi sul palcoscenico internazionale, stavolta con idee di carattere economico.
Ad annunciarlo il Vice Primo Ministro dell’ufficio Affari Economici, Mullah Abdul Ghani Baradar. “È stato deciso che il Ministero dell’Industria e del Commercio prenda progressivamente controllo delle restanti basi militari già in uso dalle forze straniere con lo scopo di convertirle in zone economiche speciali”, ha dichiarato Baradar, aggiungendo che il progetto pilota inizierà con le strutture di Kabul e Balkh. Una proposta, quella del Governo talebano, che va nella direzione delle aperture verso la comunità internazionale nonostante le costanti critiche in arrivo per la cancellazione di molti diritti.
La condizione femminile è in netto peggioramento, con le Nazioni Unite che hanno segnalato fin da subito lo stop, voluto dai Talebani, alla possibilità per le donne di accedere alle università, lavorare negli uffici statali e persino per le organizzazione non governative. Inoltre, è stato limitato il diritto al movimento delle persone di sesso femminile, anche se l’Emirato ha dichiarato l’intenzione di allentare le nuove norme in vigore per alcune Ong, in particolare quelle dedite alla salute. Amina Mohammed, Vice Segretaria Generale dell’Onu, ha chiesto che non venga abbassata l’attenzione verso l’Afghanistan e che non vengano bloccati i fondi utili al supporto umanitario. Sima Bahous, Direttrice Esecutiva di UN Women, ha ricordato che il 93% dello staff delle Ong che supporta le donne afghane è di sesso femminile. “Se non viene loro permesso di lavorare, i servizi delle organizzazioni sul campo non funzioneranno e non verranno raggiunte le famiglie in generale”, ha sottolineato Bahous. Una situazione paradossale che va di pari passo alle proposte di politica economica del nuovo Governo talebano, alla disperata ricerca di riconoscimento internazionale.
Riconoscimento che ufficialmente stenta a decollare nonostante alcuni accordi economici già sottoscritti con Cina, India e un dialogo sotterraneo con gli stessi Usa, che ha portato lo scorso settembre allo scambio dei prigionieri Mark Frerichs, contractor sequestrato nel 2020, e Bashir Noorzai, signore della droga. Ma la vera partita è legata ai fondi della banca centrale afghana congelati dagli Usa, soldi spostati in un trust svizzero del valore di 3.5 miliardi di dollari.
Ancora grande l’incertezza sull’uso delle risorse e su chi debba utilizzarle: per Washington non devono essere direttamente i Talebani che, a loro volta, lamentano la confisca dei fondi e il peggioramento della condizione della popolazione causata dalla scelta del Governo statunitense. Un rebus di difficile soluzione che ha spinto l’Emirato Islamico alla ricerca di soluzioni alternative — passando per le politiche economiche — finalizzate al reperimento di risorse e riconoscimento internazionale.