[NEW YORK] Corrispondente de Il Sole 24 Ore dagli Stati Uniti dove segue la finanza, l’economia e la politica americana.
Usa-Cina: conflitto inevitabile
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La Cina, nonostante le sue dimensioni, fino agli anni ‘80 aveva un peso limitato sullo scacchiere internazionale. Nel 1984 alle Olimpiadi di Los Angeles, conquistò la sua prima medaglia d’oro. Dagli anni ‘90 è diventata una delle nazioni più competitive al mondo e contende il primato del medagliere agli Usa. La stessa cosa sta avvenendo sul piano geopolitico. La Repubblica popolare cinese a partire dall’ascesa di Deng Xiaoping, leader dal 1978 al 1992 e artefice della riforma economica e dell’apertura del Paese al mercato, ha avviato una corsa senza fine della sua crescita economica a doppia cifra. Hanno cominciato copiando ciò che l’Occidente sapeva fare, grazie alle delocalizzazioni selvagge delle multinazionali, favorite dal costo basso del lavoro. Poi, i cinesi sono diventati talmente bravi da superare le aziende occidentali e ora hanno il primato in tanti settori produttivi, per tecnologia e innovazione.
Già Bill Clinton durante la sua prima presidenza vedeva il 2030 come l’anno in cui la Cina avrebbe potuto superare gli Stati Uniti per crescita economica. Le istituzioni internazionali oggi rimandano al 2050, qualcuna lo anticipa.
Fatto sta che la Cina è diventata per gli Usa, da Donald Trump in poi, il principale rivale. Con la sua guerra dei dazi il leader repubblicano ha provato a rallentare la corsa cinese. È riuscito solo a ritardare il primato della Cina di qualche anno. Nel 2020 il Pil degli Usa è stato di 20.900 miliardi di dollari. Quello della Cina, ormai fabbrica del mondo, è giunto a 14.700 miliardi di dollari. La distanza tra i due paesi ogni anno si accorcia, considerando che la crescita cinese da oltre tre decadi è di molto superiore a quella americana. Al diminuire dello scarto tra le due economie aumentano le tensioni geopolitiche.
Le relazioni tra Usa e Cina non sono migliorate con la presidenza di Joe Biden. Per gli studiosi cinesi l’amministrazione Biden ha cambiato i toni ma non la sostanza, l’antagonismo è immutato. Wang Jisi, Presidente dell’Istituto di relazioni internazionali dell’Università di Pechino, nel gennaio 2021 scriveva: “Le nostre azioni sul piano domestico e internazionale sono determinate in larga parte dall’atteggiamento degli Usa nei nostri confronti. Io credo che la Cina, non gli Usa, possano invertire l’andamento delle relazioni tra i due Paesi”. Biden d’altronde con la disastrosa ritirata dall’Afghanistan e con la firma del patto di ferro con Australia e Gran Bretagna per la sicurezza dell’Asia Pacifico ha chiarito in modo netto che la principale sfida è la sistematica rivalità con la Cina per contrastare il suo primato economico, tecnologico e la sua crescente influenza politica nel mondo. Una sfida che sembra persa. Ma che potrebbe, in questa pericolosa rivalità, anche militare, inciampare in qualche scontro armato con conseguenze nefaste per gli equilibri mondiali.
Taiwan è il centro nevralgico per la produzione di microprocessori necessari all’industria occidentale e di bici in carbonio Made in Usa. La sua indipendenza, minacciata dagli appetiti espansionistici cinesi che la considerano territorio nazionale, è il banco di prova di questa rivalità tra le due superpotenze.
Da più di un anno, decine di soldati delle forze speciali americane, già inviati da Trump, stanno addestrando l’esercito di Taiwan per prepararlo a un attacco cinese, ha raccontato Reuters citando funzionari dell’amministrazione Usa in forma anonima. Nelle ultime settimane le azioni muscolari dell’aviazione cinese nei confronti di Taiwan si sono intensificate. Per quattro giorni consecutivi decine di aerei militari cinesi sono entrati nello spazio aereo di Taiwan, una violazione dei trattati internazionali considerata come una grande provocazione militare. Il ministro della Difesa di Taiwan prevede un’invasione della Cina entro il 2025. L’isola stato ha aumentato il budget della spesa per la difesa di 8,7 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni.
Il Presidente cinese Xi Jinping ripete che la “riunificazione di Taiwan è uno degli obiettivi più importanti del Partito comunista cinese”. I tamburi del nazionalismo cinese interpretano con toni entusiastici la rovinosa exit strategy Usa dall’Afghanistan. E parlano della fine dell’Impero Americano. Per il Global Times, il quotidiano del Partito comunista cinese in inglese, la vicenda dell’Afghanistan mostra che in caso di scontro militare “la difesa di Taiwan potrebbe soccombere in poche ore e i militari americani non verranno in aiuto, perché non hanno gli attributi per combattere”. L’ex Primo Ministro britannico Theresa May sostiene che nessuno sa se l’Occidente è preparato in questa fase a entrare in guerra con la Cina per salvare Taiwan e se il nuovo patto Australia-Usa-Uk, pone un obbligo per Londra di correre alla difesa dell’isola, come fu per la sventurata pistola fumante in Iraq di George W. Bush e Tony Blair.
Yuan Peng, Presidente dell’Istituto cinese sulle relazioni internazionali rileva che “le divisioni interne degli Usa e la polarizzazione del paese limiteranno le possibilità di manovra di Biden” in politica estera. Il presidente democratico, di fronte all’opposizione dei repubblicani e alla nuova ascesa di Trump, dovrà focalizzare i suoi sforzi sulle sfide domestiche. Le elezioni mid term sono dietro l’angolo, con un paese sempre più diviso in due e con i consensi sul Presidente ai minimi storici.
Alle stesse conclusioni arriva Wang Jisi: “Gli Usa per molti anni saranno costretti a occuparsi dei propri problemi strutturali”.
Dall’altra parte, quella occidentale, fior di saggi teorizzano da anni di un conflitto inevitabile tra Usa e Cina. “Il piano di Pechino è chiaro: prendere il posto di Washington sul gradino più alto del podio e diventare la prima potenza mondiale”, scrive Jean-Pierre Cabestan nel suo Demain la Chine: guerre ou paix?, secondo il quale da una ventina d’anni “l’esercito cinese giorno dopo giorno si prepara a un conflitto armato con Taiwan”. Peter Navarro, consigliere di Trump sulla Cina e teorico della trade war, nel 2015, nel suo saggio Crouching Tiger, What China’s Militarism Meas for the World, parlava di una “Tigre accovacciata” insomma di una bomba a orologeria, pronta a esplodere.
Rush Doshi, direttore del desk cinese al National Security Council dell’amministrazione Biden, ha contribuito con il saggio The Long Game: China’s Grand Strategy to Displace the American Order, soffermandosi su tre periodi, basati sull’evoluzione della percezione della minaccia americana. Il primo comincia con la fine della Guerra fredda, il crollo dell’Urss, la Guerra del Golfo e la rivolta di Piazza Tienanmen, in cui comincia a diminuire il potere americano. Il secondo dopo la crisi finanziaria del 2008, quando Pechino, davanti al fallimento del modello americano, mette le basi per l’aumento dell’influenza politica e militare in Asia. La terza fase è quella dell’aumento dell’influenza della Cina nelle organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu e le sue agenzie, favorita dall’America First di Trump e dal mancato sostegno americano al multilateralismo. Secondo Doshi, la vittoria di Trump e la Brexit nel 2016 simboleggiano il punto di rottura del motore politico occidentale, che perde la sua tradizionale guida.
Trump pensa all’America prima. E la leadership cinese conquista nuovi spazi. La Cina detta il passo della ricerca nella nuova infrastruttura tecnologica, nella AI, nelle biotecnologie, nell’aerospazio ed è sempre più al centro della supply chain globale. Xi Jinping nel marzo scorso, all’apertura dell’assemblea annuale del Congresso a Pechino dice che “la Cina può già guardare al mondo allo stesso livello” degli Usa. La riunificazione di Taiwan è uno degli obiettivi. “La Cina nei prossimi sei anni avrà la possibilità e la capacità di riunificare con la forza Taiwan”, ha spiegato l’ammiraglio Philip Davidson, a capo dell’US Indo-Pacific Command, alla Commissione difesa del Senato.
“L’avanzamento della Cina è la principale variabile mondiale. La tendenza è quella di una crescita dell’Est e di un declino dell’Occidente. I cambiamenti nel panorama internazionale sono a nostro favore” ha spiegato Chen Yixin, segretario generale della potente Commissione centrale politica di Pechino.
Gli obiettivi strategici nel medio e lungo termine includono la realizzazione del 14esimo Piano quinquennale, il piano al 2035, per diventare la prima potenza mondiale entro il 2050, o come dicono i cinesi: il più “prospero, forte e avanzato paese” al mondo, in occasione del “100esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese nel 2049”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Smart city: New York si prepara a diventare “intelligente”
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Nel 2050, dicono le previsioni dell’Onu, il 75% della popolazione sarà concentrato nelle aree urbane. Di fronte alle sfide poste dalla crescita demografica, le grandi città si preparano sviluppando politiche per un uso più efficiente ed efficace delle risorse. New York, la città che non dorme mai, è una di queste. Secondo un report McKinsey, la Grande Mela è una delle metropoli più avanti nello sviluppo delle cosiddette tecnologie smart, intelligenti. Il sindaco Bill de Blasio ha creato l’Ufficio della Tecnologia e dell’Innovazione (Moti) per cercare di adottare le tecnologie smart in tutti gli ambiti, ovunque è possibile, al fine di migliorare la qualità di vita dei newyorchesi. Le iniziative messe in campo dal Moti cercano di rendere più efficienti risorse come energia e acqua, la gestione dei rifiuti e la qualità dell’aria.
L’energia
Rendere più efficiente l’illuminazione dei grattacieli è una delle maggiori opportunità di risparmio energetico per una città che non si spegne mai. Le tecnologie smart possono davvero fare la differenza. I sistemi di illuminazione a incandescenza o le luci fluorescenti di prima generazione sono ancora i più diffusi nei building di Manhattan, e i sistemi di controllo automatico sono poco usati. Gran parte dei sistemi di illuminazione nei grandi edifici vengono controllati ancora manualmente. I sistemi intelligenti riducono l’intensità dell’illuminazione automaticamente, e riescono anche a ridurre le ore di accensione delle luci attraverso la programmazione e i sensori di presenza.
Nel 2013 la città di New York ha lanciato il programma Ace (Accelerated Conservation and Efficiency) per migliorare l’efficienza energetica dei grattacieli e dei palazzi. Da allora il piano comunale ha distribuito oltre 350 milioni di dollari di finanziamenti. Gli interventi hanno interessato oltre 650 edifici. La gran parte dei progetti ha riguardato la sostituzione delle lampade tradizionali con sistemi a tecnologia led, che si stima abbiano fatto risparmiare alla città 850mila dollari in minori costi energetici all’anno, con oltre 900 tonnellate di emissioni di gas serra in meno.
La gestione dei rifiuti
Un altro dei miglioramenti che le tecnologie smart possono offrire a New York riguarda il sistema di gestione dei rifiuti. Ogni giorno la Grande Mela produce oltre 10.500 tonnellate di rifiuti (avete letto bene). Il trend è in crescita con l’e-commerce: al mattino i marciapiedi di Manhattan appaiono come un campo dopo la battaglia, occupati da montagne di scatole di cartone vuote con il logo di Amazon, in attesa del passaggio dei camion porta rifiuti.
Il sindaco De Blasio, alla Giornata della terra del 2015, ha annunciato l’obiettivo della città di arrivare a zero rifiuti nel 2030 (2030 Zero Waste Goal Nyc). Il piano prevedeva l’introduzione della raccolta porta a porta anche della frazione organica entro il 2018 in tutta la metropoli. Ma con la pandemia e i tagli al budget comunale, il progetto è stato sospeso.
Il Nyc Sanitation Department che gestisce i rifiuti della città è il più grande al mondo per le quantità smaltite. Organizzare la raccolta di rifiuti da migliaia di contenitori è una sfida logistica: i cassonetti strabordano se non vengono svuotati con la giusta tempistica, mentre al contrario una raccolta troppo frequente rischia di rappresentare uno spreco di carburante e di lavoro, facendo lievitare i costi.
La soluzione smart è stata quella di introdurre dei sensori di riempimento nei cestelli porta rifiuti, alimentati da piccoli pannelli solari. Il sistema comprende dei compattatori automatici, che permettono ai cestelli porta rifiuti smart di raccogliere rifiuti cinque volte di più rispetto ai contenitori tradizionali. Il sistema è dotato anche di sensori wireless che monitorano il livello di riempimento, cosa che permette di migliorare l’efficienza della raccolta dal 50% all’80%, oltre a contribuire alla riduzione delle emissioni, con la diminuzione del tempo in strada per i camion porta rifiuti.
L’acqua
Le tecnologie digitali sono state adottate anche per rendere più efficienti i consumi di acqua. Gli 8,5 milioni di abitanti di New York usano 3,7 miliardi di litri di acqua al giorno. Il Nyc Department of Environmental Protection ha sviluppato e distribuito su larga scala un sistema automatico di lettura dei consumi idrici (Automated Meter Reading o Amr) che permette a ogni cittadino di monitorare attraverso un’app dedicata i consumi di acqua, quattro volte al giorno. La app segnala i consumi anomali o fuori dal normale: un aiuto per monitorare eventuali perdite e rotture dell’impianto idrico di casa. I lettori smart sono stati installati finora in 800mila edifici.
I messaggi di allerta
Un altro utilizzo molto utile del digitale riguarda i messaggi di allerta della Protezione civile e della Polizia che a New York vengono inviati direttamente sugli smartphone a tutte le persone presenti in quel determinato momento nell’area interessata. Gli alert sono legati a perturbazioni in arrivo di grande intensità o a situazioni di pericolo imminente (uragani, nevicate ed eventi meteo eccezionali), incidenti stradali e anche eventi criminali (scontri a fuoco, rapimenti).
I trasporti
Altro capitolo importante riguarda la mobilità e il sistema dei trasporti integrati di New York. Secondo l’ultimo report annuale sulla Mobilità Urbana del Texas Transportation Institute, la regione metropolitana della TriState area (New York, Connecticut e New Jersey-Newark) nel 2020 è stata la più congestionata degli Stati Uniti e ha superato l’area metropolitana della grande Los Angeles.
La pandemia ha contribuito a peggiorare il traffico perché un gran numero di persone che di solito usa il sistema di trasporti urbani di New York durante il Covid ha scelto l’auto o la bici per il percorso casa-lavoro. Il traffico pesante per la consegna delle merci a milioni di residenti è aumentato in maniera esponenziale. La fase emergenziale sembra passata e le persone ora hanno ripreso a viaggiare con i treni e la metropolitana, anche se ci vorrà tempo per tornare ai livelli pre-pandemia.
Le piste ciclabili
Molti newyorchesi hanno preso l’abitudine di spostarsi in bicicletta in questi ultimi due anni. Aiutati dalla diffusione massiva delle piste ciclabili. La rete delle piste ciclabili nella città di New York è lunga 2.200 chilometri, estesa in tutti i 5 distretti: Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island. Ma solo 800 chilometri sono di piste ciclabili protette: le altre sono nelle strade dove passano le auto e i pedoni, strade che sono spesso congestionate. Lo sforzo dell’amministrazione è quello di far crescere la percentuale di piste ciclabili protette dove la gente si sente più sicura ad andare in bici.
La bicicletta, assieme alla metropolitana, è il mezzo più veloce per muoversi nella città congestionata dalle auto. Molti oggi, in tutte le stagioni, la usano per spostarsi. Quasi 1,6 milioni di newyorchesi sono ciclisti. E circa mezzo milione di persone usa la bicicletta ogni giorno. Se aumenteranno gli spazi sicuri per muoversi in bici, aumenteranno anche i ciclisti che decideranno di usarla ogni giorno.
Il trend è questo: nei prossimi anni verranno restituiti molti spazi alle persone prima pensati solo per le auto. A New York ci sono dei marciapiedi dove le persone non riescono neanche a camminare per quanto sono congestionati, così le persone sono costrette a camminare sulle piste ciclabili e i ciclisti a muoversi nelle corsie riservate alle auto. Le automobili dominano ancora il paesaggio urbano. Ci sono così tante auto parcheggiate nelle strade di New York che restano lì ferme tutto il giorno. Parte di questi spazi potrebbero essere utilizzati per creare dei percorsi pedonali più ampi, piazze, piste ciclabili. Tutti ne beneficerebbero. Questo è quello che gli abitanti vogliono. E a New York sta già, lentamente, avvenendo.
Verso la “carbon neutrality”
La città si è posta l’obiettivo di arrivare alla “carbon neutrality” entro il 2050. Lo stato di New York, inoltre, ad aprile ha approvato una legge che prevede l’obbligo delle zero emissioni per tutte le nuove auto vendute entro il 2035. L’obiettivo più ambizioso a lungo termine per una città energivora come New York è quello di arrivare alla carbon-free electricity, ossia all’utilizzo di energia prodotte senza fonti fossili, entro il 2040.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.