Il leader dell’estrema destra ha deliberatamente diffuso notizie false sul Covid-19, ha intralciato le campagne sanitarie e impedito l’accesso ai vaccini. Ma non sono le prime accuse gravi che riceve
Il Senato brasiliano ha confermato l’accusa di “crimini contro l’umanità” formulate da una commissione d’inchiesta contro il Presidente Bolsonaro per la gestione della pandemia, che in Brasile ha lasciato 605.000 morti. Il leader dell’estrema destra sudamericana, intanto, cerca di gestire il tracollo economico e la campagna per la rielezione nel 2022
Il Governo del Presidente brasiliano Jair Mesias Bolsonaro ha deliberatamente diffuso informazioni false sul Covid-19, ha intralciato le campagne sanitarie, impedito l’accesso ai vaccini e promosso terapie alternative che hanno messo a rischio la salute dei brasiliani. Queste sono solo alcune delle conclusioni shock a cui è giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) creata ad aprile al Senato e che ieri ha votato l’invio del plico alla magistratura.
Le accuse includono reati come prevaricazione, “ciarlataneria”, diffusione di epidemia, violazione delle misure sanitarie preventive, impiego irregolare di fondi pubblici, corruzione, peculato, concussione, istigazione a delinquere e falsificazione di documenti privati. Ventitré capi d’accusa per ottantuno uomini di potere e due aziende prestatrici di servizi allo Stato. Per alcuni, le condanne potrebbero superare i 50 anni di reclusione. L’accusa più pesante ricade su Bolsonaro: crimini contro l’umanità, “nelle modalità di sterminio, persecuzione e altri atti disumani”, secondo il testo presentato lo scorso 23 ottobre. Circa la metà delle 605.000 morti che ha causato il Covid in Brasile sono dunque da attribuire al Presidente, secondo la maggioranza del Senato. Quest’ultimo ha chiesto anche la sospensione degli account YouTube, Twitter, Facebook e Instagram del Presidente a tempo indeterminato, dopo che Bolsonaro avrebbe associato i vaccini contro il Covid alla diffusione dell’Aids durante uno streaming sui social.
Un Presidente “blindato”
Tra gli accusati anche il Ministro della Salute, Marcelo Queiroga, e l’uomo forte dell’esercito brasiliano dentro al Governo, Walter Braga Netto, oltre ad altri due Ministri in carica. I due figli parlamentari del Presidente, Eduardo e Flavio Bolsonaro sono anch’essi nella lista che nelle prossime ore passerà in mano al procuratore generale del Brasile, Augusto Aras, con l’accusa di incitazione a delinquere avanzata anche contro altri otto legislatori. Furono proprio loro i primi a lanciarsi contro le misure sanitarie imposte negli stati dove sono stati eletti, San Paolo e Rio de Janeiro.
Di certo però non si tratta della prima accusa grave che riceve il Presidente brasiliano. Solamente nel 2021 sono state presentate due azioni legali presso la Corte internazionale dell’Aja: una interposta dall’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile, per genocidio contro le comunità originarie; e l’altra, presentata dalla Ong austriaca AllRi per delitti contro l’umanità ed ecocidio, dovuti alla negligenza del suo Governo nel fermare la distruzione della foresta amazzonica. Nel cassetto della presidenza della Camera a Brasilia riposano pure 105 richieste di impeachment contro il Presidente presentate dall’opposizione e sistematicamente archiviate dalle autorità di entrambe le camere, strategicamente scelte tra gli alleati di Bolsonaro. Anche il procuratore Aras è stato indulgente nei confronti del presidente durante gli ultimi 3 anni, evitandogli seri guai con la giustizia, e si presume che anche in questa occasione le conseguenze giudiziarie per il Governo saranno molto leggere nel breve termine.
Il blindaggio che gli assicurano la maggioranza del congresso e le alleanze tessute nella magistratura, fa sì che sia molto difficile pensare a un epilogo del Governo prima di fine mandato, previsto per gennaio del 2023, nonostante la gravità delle prove. Ma la Corte Suprema ha tra le mani due procedimenti giudiziari che potrebbero risultare in un impiccio. Il Presidente, dunque, ha voluto mostrare alla magistratura il suo potere, prima facendo sfilare i carri armati di fronte alla sede della Corte, poi presentandosi accompagnato da decine di migliaia di sostenitori nella spianata delle istituzioni di Brasilia che minacciavano di irrompere in tribunale e in parlamento con la forza.
Un gigante che traballa
Poche ore prima della pubblicazione del rapporto della Cpi, l’ennesimo terremoto politico si è abbattuto sul Ministero dell’Economia, guidato dall’ultra liberista Paulo Guedes. Cinque assessori di alto livello hanno consegnato le dimissioni dopo che Bolsonaro ha ordinato di sforare il limite imposto alla spesa pubblica dalla riforma costituzionale del 2016, per elargire sovvenzioni da 400 Reali (circa 60 euro) a 17 milioni di famiglie, proprio quando si comincia a entrare in clima di campagna elettorale. L’abbandono della ricetta ortodossa che Guedes, uno dei cosiddetti Chicago Boys dell’economia latinoamericana, ha difeso a spada tratta negli ultimi tre anni di Governo, ha provocato una caduta immediata del 7,3% della borsa di San Paolo.
L’instabilità del gigante brasiliano, seconda potenza economica dell’America Latina dopo il Messico, è una delle principali preoccupazioni per l’economia della regione. Il principale gruppo d’investimento finanziario del Paese, Itaù, ha rivisto al ribasso le previsioni economiche per l’anno in corso che chiuderà con una contrazione del 0,5% del Pil. Il Brasile è inoltre l’economia del G20 col minor tasso di crescita previsto dal Fondo monetario internazionale per il 2022 (1,5%).
Con una disoccupazione record del 14% e l’inflazione in crescita, ormai vicina al 10% annuo spinta soprattutto dall’aumento dei combustibili (+73% negli ultimi 12 mesi) Bolsonaro ha recentemente riportato a galla la proposta di privatizzare la compagnia energetica più grande dell’America Latina, Petrobras. Il potentissimo settore industriale di San Paolo, fondamentale per permettere all’attuale Presidente di vincere le elezioni del 2018, è sempre più restio ad accompagnare le crociate del Governo, come quella che ha messo in crisi il Mercosur negli ultimi mesi, o il negazionismo sfoggiato durante la crisi sanitaria nel Paese.
Per Bolsonaro la colpa del pessimo momento degli attivi brasiliani nei mercati mondiali è della Cpi, che con le sue accuse contro il Governo “lede l’immagine del Paese nel mondo”. Eppure è proprio il suo Governo a essere sempre più isolato internazionalmente. Da alleato strategico della Casa Bianca ai tempi di Trump, al punto di abbandonare la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac), a bersaglio mondiale delle critiche per la gestione dell’Amazzonia, della pandemia e del conflitto indigeno. Quando presentò la sua candidatura a Presidente nel 2017 però, nessuno lo prese sul serio. E oggi nessuno osa darlo per spacciato.