Il presidente brasiliano radicalizza le proprie critiche contro le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Ma in Brasile ritorna la polemica intorno alla presunta presenza di cellule di Hezbollah. Usa e Israele “preoccupati” per il terrorismo in Sudamerica.
“Israele sta assassinando persone innocenti senza alcun criterio”. È questa la durissima frase che ha lanciato il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva martedì scorso e che ha ulteriormente incrinato le relazioni col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Dopo l’atto di terrorismo provocato da Hamas, le conseguenze, la soluzione di Israele, è stata tanto grave quanto quella di Hamas”, ha aggiunto Lula, presidente del paese che ricopre attualmente la presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il comunicato del governo brasiliano all’indomani dell’attacco terrorista di Hamas lo scorso 7 ottobre, conteneva già alcune avvertenze intorno alla prevedibile risposta di Israele. “Nulla giustifica l’uso della violenza, in particolare contro i civili, il governo brasiliano esorta tutte le parti a mostrare la massima moderazione per evitare che la situazione si aggravi”, sosteneva allora il Ministero degli Esteri brasiliano. Lo stesso Lula aveva convocato una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza in cui la proposta brasiliana per l’apertura di un corridoio umanitario e l’imposizione di un cessate al fuoco nella regione, fu bocciata dal veto degli Usa. Da allora, la parte di mediatore super partes che il Brasile ha voluto assumere, in linea con le aspirazioni da global player del Sud globale che ha sfoggiato Lula dal suo ritorno alla presidenza un anno fa, si è fatta sempre più sbiadita.
Il 17 ottobre Lula ha cercato di aprire un dialogo col presidente iraniano Ebrahim Raisi, sicuramente approfittando della vicinanza di Teheran ai gruppi estremisti attivi nella regione, per permettere il rimpatrio di una trentina di palestinesi con cittadinanza brasiliana bloccati a sud della Striscia di Gaza. Il rimpatrio è finalmente avvenuto per azione delle autorità israeliane, ma la connessione aperta tra Lula e Raisi ha alimentato le furie di Tel Aviv nei confronti del governo brasiliano. E anche della comunità ebraica nel paese sudamericano, che teme che il conflitto si estenda anche su quelle latitudini.
Uno dei fatti che ha ravvivato le tensioni tra Brasilia e Tel Aviv, infatti, è stato l’arresto di due persone a San Paolo nei primi giorni di novembre, accusate di far parte di una cellula di appoggio del gruppo terrorista libanese Hezbollah. Secondo la polizia brasiliana gli arresti, a cui si aggiungono una dozzina di mandati di cattura spiccati dalla giustizia brasiliana, sono stati eseguiti per prevenire atti di terrorismo contro la comunità ebraica in 11 località brasiliane, tra cui Minas Gerais, San Paolo e Brasilia. I servizi di intelligenza israeliani si sono immediatamente congratulati con le autorità brasiliane attraverso un comunicato poco usuale, in cui hanno anche rivelato una presunta partecipazione del Mossad nelle operazioni in terra sudamericana. Ma il Ministro della Giustizia brasiliano, Flavio Dino, ha risposto furioso al comunicato del Mossad, sostenendo che le operazioni che hanno condotto agli arresti in Brasile sono cominciate molto prima dell’attacco di Hamas contro Israele, e che “nessun paese straniero comanda la polizia brasiliana”.
La presenza di cellule terroriste in Brasile è ormai un affare spinoso per il gigante sudamericano. Già nel 2011 diverse fonti dell’intelligence brasiliana e statunitense parlavano di almeno 20 cellule di Hezbollah, Al Qaeda e la Jihad Islamica presenti in Brasile, e l’inefficacia delle autorità locali nell’isolare e arrestare i sospetti di terrorismo ha creato imbarazzi anche nei confronti dei propri vicini argentini.
Infatti, almeno tre dei quattro cittadini libanesi ricercati da Interpol su richiesta della giustizia argentina per i loro legami con Hezbollah e con l’attentato all’Associazione Mutuale Israelita Argentina nel 1994, vivono attualmente in Brasile.
Buenos Aires, che a differenza di Brasilia ha incluso Hezbollah nella propria lista delle organizzazioni terroriste nel 2019, mantiene tesi rapporti anche con l’Iran, da quando la giustizia argentina ha segnalato diversi ex membri del governo di Teheran come i mandanti dell’attentato che uccise 84 persone nella capitale argentina trent’anni fa.
Più di recente, l’11 ottobre scorso, la Comandante dello United States Southern Command (SOUTHCOM), il comando delle forze armate statunitensi responsabile dell’area del Centro e Sud America, Laura Richardson, aveva avvertito intorno alla presenza di cellule di Hezbollah in Brasile, che con l’aiuto delle autorità iraniane, con cui Brasilia mantiene eccellenti relazioni, avrebbero radicato piccoli centri considerati da Washington un pericolo per l’intero emisfero.
Ad aprile di quest’anno la Polizia Federale Brasiliana e Interpol hanno condotto una vasta operazione in cui è stato arrestato un cittadino iraniano nei pressi della triplice frontiera tra Brasile, Paraguay e Argentina – dove attualmente vivono circa 30.000 migranti libanesi -, accusato di facilitare l’ingresso di diversi suoi concittadini con passaporti falsi in Sudamerica.
Insomma, la crisi nella Striscia di Gaza ha esposto certi cortocircuiti presenti nella regione da decenni, mettendo anche in evidenza la posizione del Brasile, e altri governi della sinistra latinoamericana, intorno al conflitto.
Bolivia e Belice hanno rotto relazioni con Israele, e Colombia, Cile e Honduras hanno chiamato a consultazioni i propri ambasciatori a Tel Aviv. Ma la stoccata israelo-statunitense contro il Brasile, unica vera e propria potenza capace di muoversi su molte dimensioni a livello globale con una politica propria – dal G20 ai Brics, e dal G77+Cina al WEF -, punta evidentemente a mettere in dubbio la capacità del governo Lula di erigersi a rappresentante del Sud globale, uno dei principali punti di forza della politica estera del nuovo governo brasiliano.
“Israele sta assassinando persone innocenti senza alcun criterio”. È questa la durissima frase che ha lanciato il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva martedì scorso e che ha ulteriormente incrinato le relazioni col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Dopo l’atto di terrorismo provocato da Hamas, le conseguenze, la soluzione di Israele, è stata tanto grave quanto quella di Hamas”, ha aggiunto Lula, presidente del paese che ricopre attualmente la presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il comunicato del governo brasiliano all’indomani dell’attacco terrorista di Hamas lo scorso 7 ottobre, conteneva già alcune avvertenze intorno alla prevedibile risposta di Israele. “Nulla giustifica l’uso della violenza, in particolare contro i civili, il governo brasiliano esorta tutte le parti a mostrare la massima moderazione per evitare che la situazione si aggravi”, sosteneva allora il Ministero degli Esteri brasiliano. Lo stesso Lula aveva convocato una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza in cui la proposta brasiliana per l’apertura di un corridoio umanitario e l’imposizione di un cessate al fuoco nella regione, fu bocciata dal veto degli Usa. Da allora, la parte di mediatore super partes che il Brasile ha voluto assumere, in linea con le aspirazioni da global player del Sud globale che ha sfoggiato Lula dal suo ritorno alla presidenza un anno fa, si è fatta sempre più sbiadita.