Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
L’Empire State Building svetta su “Ghost Forest”, un’installazione artistica progettata dall’artista Maya Lin nel Madison Square Park, nel quartiere Manhattan di New York, Stati Uniti, 10 maggio 2021. REUTERS/Brendan McDermid
Le città del pianeta sono impreparate a combattere il cambiamento climatico. Eppure sono proprio i centri urbani, molti tra i quali nati e cresciuti sul mare, a essere i luoghi più a rischio e dove, tra l’altro, si concentra la popolazione in maniera crescente. Per parlare dei casi famosi e avere un esempio di cosa potremmo aspettarci, pensiamo agli effetti dell’uragano Sandy su New York nel 2012: metà città al buio per una settimana, case allagate, decine di migliaia in grande difficoltà per molti giorni. Ma quello era l’antipasto. Ci sono città che si sono dotate o si stanno dotando di barriere, ma i dubbi sull’efficacia di questi sistemi non riguardano solo Venezia.
Un rapporto del Carbon Disclosure Project (CDP), che raccoglie dati da centinaia di città, fa un quadro sull’impreparazione delle città e sulla difficoltà di trovare risorse per combattere e adattarsi al cambiamento climatico e ai suoi effetti. Ci sono cattive notizie e passi in avanti che provengono dalle 800 città monitorate. Il 93% tra queste è a rischio in qualche modo e il 43%, per 400 milioni di abitanti, non ha un piano in essere su cosa e come fare nei prossimi anni. Una delle ragioni per l’assenza di un piano è la mancanza di risorse o l’idea che siano gli Stati nazionali a dover finanziare, programmare e intervenire. Il 60% delle città ha sistemi di fornitura dell’acqua potenzialmente a rischio e molte tra queste non hanno un piano per intervenire. L’inquinamento dell’acqua e il rischio di epidemie sono i principali pericoli citati dalle città monitorate dal rapporto. Naturalmente, la popolazione più a rischio è anche quella che è già oggi più vulnerabile. Quasi tutte le città già segnalano effetti come ondate di calore estremo, fenomeni atmosferici anormali che si ripetono con frequenza maggiore, inondazioni e siccità.
Sul fronte positivo, il CDP segnala una maggiore consapevolezza, un numero maggiore di centri urbani che pianificano o almeno fanno valutazioni e scenari sul futuro. Altri stanno facendo passi in avanti. Vediamo qualche dato. La produzione di energia nelle città incluse nel rapporto è per il 42% proveniente da energie rinnovabili contro il 26% della produzione globale, 339 città hanno dei piani sulla riduzione di emissioni, mentre nel 2011 erano solo 16 – un dato, questo, che ci dice quanto la politica sia troppo spesso ridotta alla gestione del qui e ora. Decine di città piantano alberi e altre costruiscono nuove infrastrutture già pensate per resistere a eventuali crisi ambientali, altre si dotano di sistemi di allarme e monitoraggio. Nel complesso le azioni più diffuse sono la transizione verso forme di energia rinnovabile, l’efficientamento energetico, la riduzione del traffico urbano o il passaggio a sistemi di trasporto elettrici. Il 10% delle città hanno già una produzione di energia al 70% rinnovabile, il che segnala a tutti che si può fare. Sul fronte della programmazione, sono in crescita sistemi di trasporto collettivo e migliorano gli standard energetici delle nuove costruzioni, ma nel complesso si tratta di percentuali relativamente basse. Il che ci racconta di un mondo a tante velocità, nonostante l’impatto del cambiamento climatico non starà a guardare chi e come si è preparato.
Il rapporto è utile perché mappa la situazione di un contesto sociale e geografico (quello urbano) che è il centro delle attività umane e perché ci ricorda che per combattere il cambiamento climatico serve avere un quadro complessivo, ma serve anche sviluppare conoscenze e ipotesi di lavoro per ambiti diversi, settori di produzione, spazi, consumi e così via. Con un limite: qui si raccolgono dati dalle città che molto spesso tendono a elaborare piani e ipotesi perché chiamate a farlo, a prescindere da una reale implementazione e verifica dell’efficacia del piano. Un esempio? Nel rapporto è inclusa anche Roma, che forse ha approvato dei piani sulla carta, ma che (sono pronto a essere smentito) non sembra aver fatto passi da gigante nella direzione di un adattamento al clima (salvo svuotare i tombini dalle foglie secche durante l’autunno, ma solo dopo che, qualche anno fa, la città si è allagata a causa delle piogge).
Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
Le città del pianeta sono impreparate a combattere il cambiamento climatico. Eppure sono proprio i centri urbani, molti tra i quali nati e cresciuti sul mare, a essere i luoghi più a rischio e dove, tra l’altro, si concentra la popolazione in maniera crescente. Per parlare dei casi famosi e avere un esempio di cosa potremmo aspettarci, pensiamo agli effetti dell’uragano Sandy su New York nel 2012: metà città al buio per una settimana, case allagate, decine di migliaia in grande difficoltà per molti giorni. Ma quello era l’antipasto. Ci sono città che si sono dotate o si stanno dotando di barriere, ma i dubbi sull’efficacia di questi sistemi non riguardano solo Venezia.
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