Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
Le città del pianeta sono impreparate a combattere il cambiamento climatico. Eppure sono proprio i centri urbani, molti tra i quali nati e cresciuti sul mare, a essere i luoghi più a rischio e dove, tra l’altro, si concentra la popolazione in maniera crescente. Per parlare dei casi famosi e avere un esempio di cosa potremmo aspettarci, pensiamo agli effetti dell’uragano Sandy su New York nel 2012: metà città al buio per una settimana, case allagate, decine di migliaia in grande difficoltà per molti giorni. Ma quello era l’antipasto. Ci sono città che si sono dotate o si stanno dotando di barriere, ma i dubbi sull’efficacia di questi sistemi non riguardano solo Venezia.
Un rapporto del Carbon Disclosure Project (CDP), che raccoglie dati da centinaia di città, fa un quadro sull’impreparazione delle città e sulla difficoltà di trovare risorse per combattere e adattarsi al cambiamento climatico e ai suoi effetti. Ci sono cattive notizie e passi in avanti che provengono dalle 800 città monitorate. Il 93% tra queste è a rischio in qualche modo e il 43%, per 400 milioni di abitanti, non ha un piano in essere su cosa e come fare nei prossimi anni. Una delle ragioni per l’assenza di un piano è la mancanza di risorse o l’idea che siano gli Stati nazionali a dover finanziare, programmare e intervenire. Il 60% delle città ha sistemi di fornitura dell’acqua potenzialmente a rischio e molte tra queste non hanno un piano per intervenire. L’inquinamento dell’acqua e il rischio di epidemie sono i principali pericoli citati dalle città monitorate dal rapporto. Naturalmente, la popolazione più a rischio è anche quella che è già oggi più vulnerabile. Quasi tutte le città già segnalano effetti come ondate di calore estremo, fenomeni atmosferici anormali che si ripetono con frequenza maggiore, inondazioni e siccità.
Sul fronte positivo, il CDP segnala una maggiore consapevolezza, un numero maggiore di centri urbani che pianificano o almeno fanno valutazioni e scenari sul futuro. Altri stanno facendo passi in avanti. Vediamo qualche dato. La produzione di energia nelle città incluse nel rapporto è per il 42% proveniente da energie rinnovabili contro il 26% della produzione globale, 339 città hanno dei piani sulla riduzione di emissioni, mentre nel 2011 erano solo 16 – un dato, questo, che ci dice quanto la politica sia troppo spesso ridotta alla gestione del qui e ora. Decine di città piantano alberi e altre costruiscono nuove infrastrutture già pensate per resistere a eventuali crisi ambientali, altre si dotano di sistemi di allarme e monitoraggio. Nel complesso le azioni più diffuse sono la transizione verso forme di energia rinnovabile, l’efficientamento energetico, la riduzione del traffico urbano o il passaggio a sistemi di trasporto elettrici. Il 10% delle città hanno già una produzione di energia al 70% rinnovabile, il che segnala a tutti che si può fare. Sul fronte della programmazione, sono in crescita sistemi di trasporto collettivo e migliorano gli standard energetici delle nuove costruzioni, ma nel complesso si tratta di percentuali relativamente basse. Il che ci racconta di un mondo a tante velocità, nonostante l’impatto del cambiamento climatico non starà a guardare chi e come si è preparato.
Il rapporto è utile perché mappa la situazione di un contesto sociale e geografico (quello urbano) che è il centro delle attività umane e perché ci ricorda che per combattere il cambiamento climatico serve avere un quadro complessivo, ma serve anche sviluppare conoscenze e ipotesi di lavoro per ambiti diversi, settori di produzione, spazi, consumi e così via. Con un limite: qui si raccolgono dati dalle città che molto spesso tendono a elaborare piani e ipotesi perché chiamate a farlo, a prescindere da una reale implementazione e verifica dell’efficacia del piano. Un esempio? Nel rapporto è inclusa anche Roma, che forse ha approvato dei piani sulla carta, ma che (sono pronto a essere smentito) non sembra aver fatto passi da gigante nella direzione di un adattamento al clima (salvo svuotare i tombini dalle foglie secche durante l’autunno, ma solo dopo che, qualche anno fa, la città si è allagata a causa delle piogge).
Un rapporto del Carbon Disclosure Project mostra l’impreparazione delle città e le difficoltà nel trovare risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico
Le città del pianeta sono impreparate a combattere il cambiamento climatico. Eppure sono proprio i centri urbani, molti tra i quali nati e cresciuti sul mare, a essere i luoghi più a rischio e dove, tra l’altro, si concentra la popolazione in maniera crescente. Per parlare dei casi famosi e avere un esempio di cosa potremmo aspettarci, pensiamo agli effetti dell’uragano Sandy su New York nel 2012: metà città al buio per una settimana, case allagate, decine di migliaia in grande difficoltà per molti giorni. Ma quello era l’antipasto. Ci sono città che si sono dotate o si stanno dotando di barriere, ma i dubbi sull’efficacia di questi sistemi non riguardano solo Venezia.
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