Capitol Hill: la reazione dell’estrema destra europea
La condanna dell'assalto al Congresso è unanime, ma i leader europei dell'estrema destra tendono ad attribuirlo a gruppetti marginali e folkloristici. Invece sappiamo che non è così
La condanna dell’assalto al Congresso è unanime, ma i leader europei dell’estrema destra tendono ad attribuirlo a gruppetti marginali e folkloristici. Invece sappiamo che non è così
La condanna è unanime, come quella per la censura “da Cina comunista” operata da Twitter nei confronti del Presidente degli Stati Uniti. Ma per i leader della destra radicale europea, quelli per cui le cose tendono a essere nere o bianche, l’assalto al Congresso prevede 50 sfumature di grigio.
Sull’identità di chi ha effettuato quell’assalto e sulle responsabilità, i distinguo sono infatti molti. Le Pen, Orban, Salvini e altri condannano la violenza ma tendono ad attribuirla a gruppetti marginali e folkloristici. Sappiamo invece che dal palco della manifestazione del 6 gennaio i richiami alla guerra, alla violenza, a “Dio lo vuole” ci sono stati e hanno coinvolto anche il Presidente Trump. Ormai sappiamo anche che le istituzioni federali hanno evitato e ritardato l’intervento di polizia o guardia nazionale in forze. Parlare della folla che ha invaso il Congresso come se si trattasse di una banda di ubriachi è dunque ipocrita. Ma passiamo a una breve rassegna.
Regno Unito
Partiamo da Nigel Farage, che ha rinominato il suo partito “Reform UK” ed è l’alleato più stretto e ricambiato di Trump all’estero. Il 6 gennaio Farage twitta: “La violenza è sbagliata e i manifestanti devono lasciare Capitol Hill”. Fine delle trasmissioni, salvo che lo stesso Farage aveva promesso fuoco, fulmini e disobbedienza civile (“prenderò il fucile”) nel caso di una mancata Brexit. Sull’esito elettorale aveva detto: “Se Biden ha vinto correttamente bene, ma queste sono state elezioni inusuali”. Un modo di seminare dubbi senza farsi dare del complottista. Farage insorge contro l’uso della censura: su questa tutti i leader della destra sono durissimi.
Slovenia
Il 5 novembre il premier sloveno Janez Jansa twitta “Appare chiaro che il popolo americano ha eletto Trump per altri 4 anni. Ulteriori ritardi e negazione dei fatti non faranno che rendere più grande il suo trionfo”. Questo era molto prima del caos a Capitol Hill, ma aiuta a chiarire dove si collochi Jansa. Il tweet è stato cancellato e sul social il premier nega di aver mai scritto questa frase. Naturalmente ci sono le foto. Jansa rilancia spesso le grida di Tucker Carlson, popolare e trumpiano conduttore di Fox News, contro la “corporateAmerica” che comanda e collude con i politici per censurare la verità – se parliamo di corporation, Fox News è proprietà di News Corp, probabilmente il più grande e influente conglomerato mediatico del pianeta.
Ungheria
Il 7 gennaio il sito orbaniano (terzo più cliccato d’Ungheria) Origo titolava: “Dopo le scandalose elezioni di novembre, la presidenza di Joe Biden ha portato il caos totale”. In che senso? Che dopo aver rubato le elezioni, Biden ha anche organizzato gli anti fa, li ha fatti travestire e li ha mandati a Capitol Hill. Origo ha una tradizione di fake da quando è stato acquisito nel 2017 da una compagnia di proprietà di Ádám Matolcsy, figlio del Presidente della Banca nazionale e membro del partito di Orban.
Italia
Passiamo all’Italia. Matteo Salvini spiega che “la violenza non è mai la soluzione. Siamo dalla parte della libertà e della democrazia sempre”, e aggiunge: “Ovviamente continueremo ad avere rapporti di lealtà, amicizia e collaborazione con gli Stati Uniti”. Il capogruppo a Strasburgo Marco Zanni spiega: “Nulla può giustificare l’uso della violenza delle immagini di ieri sera, che avremmo preferito non vedere” per poi ribadire l’atlantismo leghista. In casa Lega sembra esserci il timore che l’essersi troppo schierati con Trump costerà interlocuzioni e amicizia a Washington. Niente da dire sulle responsabilità del Presidente.
L’europarlamentare Procaccini di Forza Italia dichiara a politico.eu: “Stiamo parlando di qualcosa di inaccettabile, talmente inaccettabile che è stato attuato da una serie di fanatici che in alcuni casi rasentano il ridicolo, a cominciare da quello che sembrava uscito dai Village People”. Fanatici scollegati da Trump, appunto. Anche Procaccini paragona Twitter ai gulag. Giorgia Meloni twitta: “Seguo con grande attenzione e apprensione quanto sta accadendo negli Stati Uniti, mi auguro che le violenze cessino subito come chiesto dal Presidente Trump”. Per la precisione, tutti gli analisti hanno spiegato come il richiamo alla calma del Presidente americano suonasse contraddittorio e, ribadiamolo, al Congresso sono entrati elettori fomentati da teorie del complotto e organizzati in piazza anche da gruppi di estrema destra mentre Trump e i suoi hanno invocato l’assalto poco prima che questo avvenisse.
Francia
Concludiamo questa rassegna con Marion Marechal Le Pen, la stella nascente dell’estrema destra francese, che sui suoi profili social non nomina Capitol Hill ma protesta per la censura: “Se si spingono fino a censurare il Presidente uscente degli Stati Uniti, fino a che punto riusciranno a influenzare un’elezione in Europa?”. Ci sono varie ipocrisie in tutte le dichiarazioni dell’estrema destra sulla censura. Il primo riguarda proprio i social network: cercando commenti e tweet degli esponenti dei partiti italiani, il sottoscritto li ha trovati chiusi, non pubblici. Ovvero alcuni tra costoro non vogliono che sui social le persone che non la pensano come loro possano rispondere o insultare (come purtroppo capita troppo spesso). Questi politici agiscono sul proprio profilo privato decidendo con chi interloquire e Twitter decide chi ospitare e chi no sulla propria piattaforma privata.
Il tema dell’immane potere nelle mani di pochi gruppi privati sulla circolazione delle idee e delle opinioni è più che serio e va affrontato e regolato urgentemente. Ma non riguarda la disseminazione di teorie false prodotte con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica o far commettere reati o incitare all’odio. Quanto al tentativo di influenzare le elezioni: se c’è qualcuno che ha tentato di lavorare in questo senso, questa è la Russia putiniana, con cui diversi di questi partiti hanno intrattenuto rapporti. Il sospetto è che questi partiti – o alcuni loro esponenti che tendono a manipolare le notizie o a diffondere improbabili teorie del complotto – temano di venire a loro volta censurati. Sarebbe sbagliato, sarebbe problematico. Proprio come dire a 80 milioni di persone che elezioni vinte in maniera trasparente sono state rubate e che per salvare la Repubblica bisogna marciare sulle istituzioni.
La condanna è unanime, come quella per la censura “da Cina comunista” operata da Twitter nei confronti del Presidente degli Stati Uniti. Ma per i leader della destra radicale europea, quelli per cui le cose tendono a essere nere o bianche, l’assalto al Congresso prevede 50 sfumature di grigio.
Sull’identità di chi ha effettuato quell’assalto e sulle responsabilità, i distinguo sono infatti molti. Le Pen, Orban, Salvini e altri condannano la violenza ma tendono ad attribuirla a gruppetti marginali e folkloristici. Sappiamo invece che dal palco della manifestazione del 6 gennaio i richiami alla guerra, alla violenza, a “Dio lo vuole” ci sono stati e hanno coinvolto anche il Presidente Trump. Ormai sappiamo anche che le istituzioni federali hanno evitato e ritardato l’intervento di polizia o guardia nazionale in forze. Parlare della folla che ha invaso il Congresso come se si trattasse di una banda di ubriachi è dunque ipocrita. Ma passiamo a una breve rassegna.
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